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L’irresponsabilità del mondo del calcio

Pierluigi Ermini il . Società, Sport

calcio-coronavirusAmo il calcio da sempre, ho giocato per circa 20 anni e per altri 15 ho allenato nel settore giovanile. So le emozioni che si provano, e i momenti indimenticabili che si vivono correndo su un campo sportivo. Ma quanto accaduto in questi mesi ci deve far riflettere tutti.

La ripresa dell’attività agonistica, le partite come quelle a cui abbiamo assistito in questi giorni, le conseguenze sociali che anche una finale come la Coppa Italia può provocare per una comunità, sono la rappresentazione dell’incapacità che società sportive e federazioni italiane e europee hanno di autoregolamentarsi, di difendere la bellezza e i valori dello sport,  presi come sono solo dalla necessità di perseguire a qualunque costo l’interesse economico che le sorregge.

Si perché questo è quello che abbiamo vissuto nei 4 mesi trascorsi dall’inizio della pandemia nel nostro paese.

Se ripenso a questi mesi e al calcio, non posso non andare a quella partita a Milano tra Atalanta e Valencia ia sera del 19 febbraio, dove già in piena paura di epidemia da Covid19 il calcio, non solo italiano, ma europeo, ha avuto il coraggio di far incontrare senza alcuna forma di controllo oltre 50.000 persone a San Siro. Quasi metà della città di Bergamo era in quello stadio. Eppure solo qualche giorno dopo sarà sospeso il campionato italiano, tra cui anche Inter – Sampdoria del 23 febbraio in programma proprio a San Siro.

Poi non posso non pensare che successivamente,, nonostante che molto del mondo sportivo italiano avesse decretato la fine di campionati anche di serie A (come il basket e la pallavolo per fare degli esempi), le società calcistiche della massima serie hanno fatto di tutto per non fermarsi.

Liti continue tra le società e la federazione, giocatori spaesati e impauriti presi tra contratti da rispettare e paura di giocare, incontri con il governo con l’unico intento di non fermarsi per non perdere i milionari accordi sui diritti televisivi.

Così si è arrìvati a preparare protocolli specifici per il calcio che costano cifre altissime (basta pensare che ogni giocatore e addetto alle squadre dovrà fare ogni 4 giorni un tampone), pur di continuare a scendere in campo in un clima che non garantisce nessuna forma di normalità.

Il risultato é che oggi assistiamo a gare che si svolgono in stadi vuoti tra voci di allenatori e giocatori che si rincorrono (con il rischio di ascoltare anche cose non gradite), mentre siamo disturbati dai ritmi lenti di gioco delle squadre, e ci rendiamo conto che i giocatori non sono psicologicamente preparati a partite di questo genere, con pochissimi spunti tecnici e di qualità.

Assistiamo a premiazioni come quella della finale di Coppa Italia dove ogni atleta è costretto a prendersi e mettersi al collo la sua medaglia , in un clima da self service che ha poco a che vedere con lo sport.

Ma poi arriva una vittoria e a un tratto tutto cambia e il solo aver conquistato una coppa ci riporta al rischio esponenziale già vissuto 4 mesi prima in quella triste notte di San Siro. Questa volta non in uno spazio ristretto come uno stadio, ma in vie e piazze di una città, Napoli, dove per ore nel dopo gara tanti tifosi si sono ammassati nelle strade, bloccando anche il pullman della squadra al suo rientro da Roma fino alle 4 di notte, con il rischio esponenziale dei contagi. Anche con la giustificazione verbale del suo primo cittadino….

Il calcio per ora, più che rendere più leggera e piacevole la vita delle nostre comunità, da quella sera di febbraio a San Siro fino ai caroselli e agli abbracci di questi giorni a Napoli, sta creando soprattutto difficoltà.

Soprattutto appare chiara l’incapacità da parte del governo, della dirigenza federale e delle societa sportive a saper gestire in questo momento una macchina così  complessa che coinvolge professionisti e addetti ai lavori, ma anche milioni di sportivi.

Mentre il paese tenta faticosamente e con tantissime difficoltà di ripartire e soprattutto di salvare salute fisica, economia e posti di lavoro, il calcio non è in grado di dare il suo contributo né in termini di intrattenimento e di svago verso le persone, addirittura continuando a mettere a rischio la salute dei cittadini.

Si dirà che cosa c’entra il mondo del calcio con i tifosi e la libertà individuale delle persone che decidono di se stessi, e quindi liberamente agiscono e decidono di mettere a repentaglio la loro salute personale e quella degli altri.

Le società sportive non hanno responsabilità in questo caso. Che potevano fare per evitare la stupida notte di Napoli e fermentare qualche migliaio di irresponsabili?

Ma una comunità nel suo complesso e la politica e il governo  in particolare, che della difesa della salute ha fatto il centro della sua azione in questi mesi, devono interrogarsi ed agire di conseguenza.

Perché ieri è stata assegnata la Coppa Italia, ma tra qualche mese sarà la volta dello scudetto e poi speriamo da tifosi che le squadre italiane vadano alle finali di Champions League e Europa League e che le vincano. Allora cosa potrà succederà a Torino, o Milano o ancora a Napoli in quelle notti di piena estate?

La vita delle nostre comunità vale più del calcio e dei suoi diritti televisivi.

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