La “ripresa” dell’antidroga nazionale
Mentre nella competente Commissione della Camera dei Deputati si esaminano le varie proposte di legge presentate nel tempo per apportare, finalmente, alcune modifiche al Testo Unico sugli stupefacenti e rendere più incisiva l’azione di repressione degli spacciatori, è ripresa, a maggio, dopo il parziale allentamento delle restrizioni alla mobilità delle persone, l’attività antidroga delle forze di polizia.
Così, dopo che a marzo ed aprile si erano registrati valori particolarmente modesti delle operazioni antidroga in tutto il paese, rispettivamente con 1.349 e 1.475 attività svolte, a maggio se ne sono contate 1.981 con il più alto valore mensile di persone denunciate all’autorità giudiziaria (2.617) in questo scorcio di anno, di cui 855 stranieri (dato anche questo aumentato dopo che nei due mesi passati, con 566 e 627 stranieri, si erano annotati i numeri più bassi, in senso assoluto, degli ultimi anni).
La Direzione Centrale per i Servizi Antidroga che, come noto, elabora questi dati, segnala in 1.783,43 kg gli stupefacenti complessivamente sequestrati di cui 44,04kg di eroina, 182,63kg di cocaina, 385,18kg di hashish, 1.152,77kg di marijuana oltre a 5.112piante di cannabis trovate in ben 52 province (i quantitativi maggiori a Reggio Calabria con 1.872 piante, a Napoli con 645 e a Palermo con 574).
Il “risveglio” complessivo dell’antidroga si va rilevando anche in questi primi quindici giorni di giugno con le “retate” fatte dai carabinieri nei due quartieri romani di San Basilio e di Tor Bella Monaca che hanno portato all’arresto complessivamente di una ottantina di spacciatori (quasi sempre tornati in libertà dopo poche ore o pochi giorni).
Anche la Polizia di Stato è stata impegnata a Massa Lombarda dove in un’abitazione ha sequestrato tre chilogrammi di cocaina (nei primi cinque mesi del 2020 sono già oltre 7 le tonnellate già sequestrate), mentre a Milano, nel corso di una perquisizione a carico di noti narcotrafficanti sono stati trovati, nascosti all’interno di una intercapedine di un appartamento, diversi scatoloni contenenti circa 15 milioni di euro in banconote di piccolo taglio.
Mercato degli stupefacenti florido anche in Alto Adige come ha rilevato anche l’ultima indagine condotta dalla Polizia di Stato che ha individuato una banda che, in collegamento con esponenti della mafia calabrese (ed è questa la novità per questo territorio), gestiva almeno quattro chilogrammi tra eroina e cocaina al mese.
Per non parlare della Guardia di Finanza che al termine di indagini cominciate nel novembre 2017 con il ritrovamento sulla costa brindisina di uno scafo carico di marijuana, ha eseguito in questi ultimi giorni ben 17 ordinanze di custodia in carcere a carico di altrettanti trafficanti, italiani e albanesi.
Non mancano, infine episodi sconcertanti che dovrebbero sollecitare riflessioni, come il più recente, del 10 giugno scorso, avvenuto a Reggio Emilia, con un ragazzo di appena tredici anni accusato di ripetute violenze nei confronti dei genitori ai quali chiedeva continuamente denaro per acquistare droga.
Piccole battaglie vinte dalle forze di polizia in una guerra globale persa da tempo come dovrebbe essere noto, anche sul fronte della prevenzione. Il narcotraffico continua ad essere l’attività più redditizia per le organizzazioni criminali e le varie bande che lo gestiscono ed è uno straordinario “bancomat” sempre rifornito per politici collusi, poliziotti corrotti e gruppi terroristici in molti paesi.
E’ sempre reato coltivare in casa marijuana?
In questi primi cinque mesi del 2020 le forze di polizia hanno sequestrato in tutto il territorio nazionale 13.211 piante di cannabis trovate, per lo più, in scantinati delle abitazioni, nei terrazzi e giardini di casa, nei sottotetti, in alcuni casi addirittura negli armadi. in appezzamenti di campi ed altro.
Coltivazioni “domestiche” che negli ultimi anni si sono particolarmente diffuse nel nostro paese tanto da interessare, mensilmente, fino a novanta province. Nel corso di quest’anno si è ridotto notevolmente il numero delle “scoperte” mensili, mediamente, in 24 province nei primi quattro mesi, aumentate a 56 a maggio (numeri ridotti in conseguenza delle minori operazioni antidroga svolte nel periodo della nota emergenza sanitaria).
In tutti questi casi la polizia giudiziaria ha proceduto alla denuncia all’autorità giudiziaria delle persone indagate per il reato di coltivazione di piante stupefacenti.
Tuttavia, nella giurisprudenza della Cassazione, la nozione giuridica della “coltivazione” di piante da cui siano ricavabili sostanze stupefacenti, ha determinato negli anni due differenti indirizzi.
In particolare, secondo un primo orientamento, non sarebbe sufficiente la semplice coltivazione di una pianta conforme al tipo botanico vietato che maturata, abbia raggiunto la minima capacità drogante, ma occorre accertare che tale attività sia in concreto idonea a ledere la salute pubblica e a favorire la circolazione della droga nel mercato.
Indirizzo diverso quello secondo cui l’offensività della condotta è ricollegabile alla sua idoneità a produrre la sostanza non rilevando la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine a giungere a maturazione e a produrre lo stupefacente nell’obiettivo di scongiurare il rischio di diffusione futura della droga.
La questione è stata rimessa alle Sezioni Unite della Suprema Corte alla fine del 2019 che dopo attenta disamina, con la sentenza del 16 aprile 2020, n.12348, ha postulato il principio di diritto riconducibile sostanzialmente al secondo orientamento suindicato ma con la precisazione che “devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore” (cfr. anche l’interessante articolo “Quando è configurabile il reato di coltivazione di stupefacenti”, a cura di Antonio Di Tullio D’Elisiis e Domenico Gianneli, su Rivista Penale n°5/2020, Ed.LaTribuna, Piacenza).
Spetterà, dunque, a periti e consulenti tecnici accertare se l’attività di coltivazione di piante stupefacenti soddisfi tali condizioni, ma saranno importanti anche gli elementi informativi descrittivi e analitici raccolti dalla polizia giudiziaria che ha proceduto alle operazioni segnalando all’autorità giudiziaria competente.
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