Ora serve un “Rinascimento” per la magistratura
Le comunicazioni telefoniche acquisite dalla procura di Perugia nel “caso Palamara” squadernano un groviglio di manovre e baratti (per molti un “suk”) sulle nomine di competenza del CSM. Devastanti gli effetti.
C’è persino chi evoca con nostalgia il presidente Cossiga che trattava il CSM a colpi di Carabinieri spediti in piazza Indipendenza; o chi definisce il CSM un “verminaio” del quale qualsiasi cosa sarebbe meglio, per cui a casa tutti i consiglieri!
Si può dissentire da questi giudizi trancianti, ma è bene conoscerli perché non è consentito sottovalutare il problema lacerante ripropostosi in queste ore (dopo la crisi di circa un anno fa dovuta agli incontri fra politici e magistrati nell’hotel “Champagne” di Roma). Dico ‘riproposto’ per sottolineare che un’ulteriore non secondaria gravità del problema deriva proprio da spiacevoli gemmazioni del ceppo di partenza.
Diventa allora necessario e urgente un vero e proprio “Rinascimento” delle diverse articolazioni del mondo della magistratura. Un Rinascimento che non è utopia, perché i giudici italiani han dimostrato di esserne capaci in tempi anche più difficili.
Mi riferisco a come la magistratura riuscì a liberarsi dalle vischiosità che all’inizio e per un lungo periodo segnarono la democrazia repubblicana.
Processi alla Resistenza e impunità per i gerarchi fascisti più compromessi. Vertici giudiziari in continuità col fascismo (un procuratore generale della repubblica di Salò e un ex presidente del tribunale della razza rispettivamente alla presidenza della Cassazione e della Corte costituzionale). L’invenzione della categoria delle norme soltanto programmatiche per depotenziare la Costituzione. 695 fascicoli sugli eccidi nazi-fascisti del 1943-45 occultati per decenni dalla procura generale militare di Roma in un armadio scoperto dal giornalista Franco Giustolisi e da lui giustamente definito “della vergogna”. Negata l’esistenza della mafia; gli infortuni sul lavoro una fatalità; la procura di Roma un “porto delle nebbie”; vertici della magistratura a braccetto con personaggi impresentabili; Sindona beneficiato dall’affidavit di un alto magistrato…
Solo a partire dagli anni Sessanta-Settanta la magistratura (nella sua gran parte) cominciò ad affrancarsi da una massiccia commistione col potere politico, imboccando la strada di una reale indipendenza secondo l’art. 101 Cost., che vuole i giudici “soggetti soltanto alla legge”. In questa lunga marcia un ruolo decisivo ebbero le ‘correnti’.
Strumenti di dibattito e orientamento culturale (pubblico e trasparente), le ‘correnti’ furono utili per incrinare l’estraneità dei giudici rispetto alla società e per cercare di introdurre in un corpo burocratico il rifiuto del conformismo (inteso come gerarchia, logica di carriera, giurisprudenza imposta dall’alto, passività culturale). Con lo Statuto dei lavoratori ai giudici fu attribuita la funzione inedita di garanzia dei diritti sociali. Via via il sistema giudiziario divenne anche strumento di emancipazione dei cittadini.
Finché alla magistratura toccò misurarsi con terrorismo, stragismo, poteri occulti e deviati (la P2), mafia, corruzione sistemica. Di qui la funzione, anch’essa inedita, di controllo dell’esercizio dei poteri ‘forti’, pubblici e privati. I quali, si sa, preferiscono i “servizi” alle decisioni imparziali.
Ed ecco una tempesta di accuse e controriforme trasversali per delegittimare la magistratura. Mentre le ‘correnti’, invece di continuare nel confronto delle idee per meglio resistere agli attacchi contro la giurisdizione, registravano – quale più quale meno – la progressiva degenerazione in cordate per il conferimento clientelare di incarichi e la nomina di dirigenti.
Oggi che si è toccato il fondo, serve uno scatto d’orgoglio dell’ANM e del CSM, per puntare – partendo da posizioni di sincera autocritica – ad un robusto recupero di credibilità. Senza del quale non è neppure ipotizzabile una valida interlocuzione sulle ormai inevitabili riforme. E’ certo che si attiveranno anche forze ansiose di chiudere i conti con il fastidioso incomodo di una giurisdizione autonoma. In gioco vi è quindi l’indipendenza stessa della magistratura.
Per evitarne il tracollo occorre appunto un “Rinascimento”, presupposto per ribadire che tale indipendenza non è un privilegio di casta dei giudici ma dei cittadini, che solo così possono sperare in una giustizia che non mostri gli occhi dolci a qualcuno e la faccia feroce agli altri.
* Il Fatto Quotidiano, 28/05/2020
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