Il mestiere delle notizie, dalla parte della giustizia e dei diritti
Roberto Morrione se ne è andato il 20 maggio del 2011. Sono già passati nove anni, eppure sembra soltanto ieri.
Per ricordare il fondatore e direttore di Libera Informazione, presentiamo all’attenzione dei lettori un suo bello scritto del febbraio 2010, nel quale ricorda la lezione giornalistica di Pippo Fava.
Nel raccontare la poliedricità dell’uomo di cultura siciliano, Morrione sottolinea lo straordinario percorso di Fava, arrivando a confessare “l’emozione di chi scopre le radici di un comune sentire, della stessa identità professionale, delle idee che ho cercato di tenere alte nel servizio pubblico della Rai e oggi a Libera Informazione”.
Chissà cosa avrebbe scritto oggi il direttore delle infiltrazioni delle mafie nell’economia della ripartenza del Paese, ai tempi di una pandemia devastante; della vicenda dei migranti in cerca di pane e dignità, purtroppo drammaticamente simile pur con il passare degli anni; dei rigurgiti razzisti e xenofobi che intossicano la vita pubblica, anche per il massiccio utilizzo dei social da parte dei “leoni da tastiera” e dei fascisti di ieri e di oggi; del mondo della politica, infine, che pure ha visto l’avvicendarsi di alcuni nomi, ma che sembra scontare il permanere di regole non scritte che condannano l’Italia alla perenne immobilità dei famigerati gattopardi qui evocati. Chissà..
Liberi di informare
di Roberto Morrione, febbraio 2010
Un volto da pirata saraceno, come scavato dalla storia dei popoli che hanno solcato il Mediterraneo fino alle rive della Sicilia, costruito una civiltà carica dei caratteri delle genti che l’hanno via via dominata. Nello sguardo di Giuseppe Fava, profondo, orgoglioso, curiosamente ironico, si intravedono gli antichi Semidei risvegliati dal lungo sonno di cui parla il principe Salina nel Gattopardo di Tomasi di Lampedusa e lo scontro mortale tra i diritti della giustizia e il potere che Leonardo Sciascia descrive nel suo viaggio in terra di mafia. In questa guerra, che ha seminato la storia della Repubblica di vittime per mano mafiosa e che è ancora aperta con esiti incerti, Giuseppe Fava era un assoluto protagonista.
Dalla parte della giustizia, dei diritti negati ai cittadini onesti, dell’umanità degli ultimi, di quella Sicilia sfruttata e disperata della quale ha scritto in tanti romanzi e drammi teatrali, speculari alle cronache e alle inchieste di cui era intessuto I Siciliani. Questa singolare impresa giornalistica non ha antenati e purtroppo ben pochi eredi, per passione civile, lucidità di analisi, contesto approfondito dei fatti, modelli dell’inchiesta che cerca a ogni costo la verità. I Siciliani fu insieme una realtà che rompeva il grigio panorama di una stampa dominata dagli interessi dei comitati d’affari, di cui La Sicilia di Mario Ciancio era (ed è tuttora) depositaria e una scuola professionale per chi intraprende senza scorciatoie, né protettori, il mestiere delle notizie, formando giovani cronisti al rigore morale di una gelosa difesa della propria autonomia.
Negli anni roventi della Catania dominata dai “cavalieri del lavoro e dell’apocalisse”, dei quali I Siciliani di Giuseppe Fava denunciò senza sconti gli interessi e le contiguità criminali, tutto questo significò allo stesso tempo respingere le lusinghe e i comodi allineamenti offerti dal potere e le costanti minacce della mafia che era il volto armato e inconfessabile degli stessi interessi. Fino all’appuntamento con i killer in quella sera del ’84, che certo Giuseppe Fava non si attendeva in quel momento, a pochi passi da sua nipote che trasferiva sul palcoscenico la passione culturale appresa in famiglia, ma che aveva da tempo preventivato, opzione di una scelta di vita che poteva avere come contraltare la morte.
Purtroppo non ho mai incontrato di persona Giuseppe Fava, ma guardando l’espressione antica del suo volto, percorrendo i suoi memorabili ritratti letterari, leggendo le inchieste investigative de I Siciliani, ascoltando la sua analisi della politica e degli affari in Sicilia e nei palazzi romani in rari documenti televisivi e radiofonici, come la testimonianza a Enzo Biagi sul reale potere di ministri e parlamentari che tradiscono la Costituzione, provo ancora l’emozione di chi scopre le radici di un comune sentire, della stessa identità professionale, delle idee che ho cercato di tenere alte nel servizio pubblico della Rai e oggi a Libera Informazione.
In fondo è come se anch’io, di ben più vecchia generazione, avessi preso parte a quella “leva” di giovani, tra i migliori del giornalismo italiano anche se oggi dispersi in diverse esperienze, che si formarono al suo fianco, aprendo a loro volta nei giovani altre vocazioni, passioni, missioni di resistenza volontaria, sempre povere, a rischio di indifferenza, solitudine, spesso di ostilità e minacce.
Come dimenticare del resto quanto racconta Riccardo Orioles nel bellissimo libro Allonsanfan sulla domanda che fece una volta a Giuseppe Fava in merito alle sue idee politiche: «Sono tolstoiano», rispose sorridendo Fava. Enigmatico, tanto che Riccardo – così scrive con autoironia – si chiese per anni se avesse voluto “prenderlo per il culo”…
Io credo proprio di no.
* Il presente testo è stato pubblicato all’interno del fumetto “Pippo Fava. Lo spirito di un giornale” di Luigi Politano e Luca Ferraro (Round Robin Editrice 2010) nella nuova edizione per la collana “Chiedi chi erano gli eroi” di Paper First
Pippo Fava, l’artigiano da cui ho imparato a fare il cronista
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