De Michele ha mentito, ma non bisogna lasciare soli i cronisti di mafia
La solidarietà di Articolo 21 ai giornalisti minacciati non viene meno dopo il “caso De Michele” e nemmeno l’attenzione sulla difficile condizione dei giornalisti che raccontano la mafia in Italia.
Mario De Michele è il direttore del giornale online, “Campania Notizie”, e da questa mattina risulta indagato per aver simulato i due attentati subiti il 14 novembre 2019 ed il 4 maggio 2020.
La Direzione distrettuale Antimafia di Napoli ha accertato che i colpi di pistola contro la sua casa li aveva sparati lui. E, allo stesso modo avrebbe agito per quanto riguarda l’attentato del 14 novembre scorso, quando denunciò di essere stato inseguito da uomini armati che gli avevano sparato contro, mentre era in auto nelle campagne di Gricignano di Aversa. Nella sua auto furono trovati almeno 10 colpi di arma da fuoco.
De Michele ha ricevuto un avviso di garanzia venerdì 15 maggio e una perquisizione presso la sua abitazione a Cesa, dove furono sparati i tre colpi di pistola. I reati contestati dalla Dda di Napoli sono quelli di calunnia e detenzione di armi da fuoco in concorso con un Pasquale Ragozzino, avvocato di Orta di Atella che avrebbe fornito una delle armi usate nell’occasione. Questo il primo esito delle verifiche delegate ai carabinieri di Aversa e intanto è stato proposto di togliere la scorta assegnata al giornalista dopo il primo attentato.
De Michele ha pubblicato un articolo, sul suo sito, annunciando “un passo di lato”, parlando di “stanchezza fisica e mentale”. Ha poi chiesto scusa “a magistratura, carabinieri, prefettura” e ha annunciato di volersi dedicare alla famiglia.
Se la si vuole vedere da molto vicino questa è una storia triste prima di essere una grave simulazione in danno dello Stato (che gli aveva assegnato la scorta) e in danno della comunità dei giornalisti italiani, la quale purtroppo conta un numero elevatissimo (24) di giornalisti protetti dalla pubblica sicurezza per le minacce ricevute dalla mafia e (ultimamente) anche dalle organizzazioni neofasciste.
Si moltiplicano le critiche, le perplessità anche della categoria per questa vicenda. Tutte legittime naturalmente, ma sarebbe un grave errore rimettere, proprio adesso, in discussione la battaglia a favore dei giornalisti minacciati solo perché un uomo fragile ha bluffato. De Michele oggi è un indagato, verrà processato, si difenderà, si giustificherà, farà ciò che l’ordinamento gli consente. Però sarebbe un gravissimo errore parlare di “scorte facili”.
Purtroppo il caso di Mario De Michele non toglie quasi nulla, anzi proprio nulla, alla cappa di tensione che avvolge il racconto della cronaca giudiziaria in posti molto complicati come la provincia di Caserta. Prendere a pretesto il caso De Michele per sminuire i pericoli che ogni giorno corrono decine di giornalisti a Caserta e in Campania comporterebbe un’involuzione anche per la categoria e per i suoi organismi di rappresentanza che, finalmente, da un po’ di anni a questa parte portano avanti la difficile, quanto necessaria, scorta professionale e mediatica ai tanti cronisti minacciati per davvero.
De Michele ha finto, ha mentito, ha tradito la fiducia e anche una causa, quella del giornalismo libero da condizionamenti. Ciò non può e non deve cancellare con un colpo di spugna ciò che accade ogni giorno: in Campania i cronisti vengono cacciati dai luoghi inquinati mentre riprendono le acque reflue che vanno nei fiumi, alcuni si alzano e trovano le gomme delle auto squarciate, i boss li denigrano nelle interviste fatte da altri colleghi compiacenti.
Ciò che è accaduto a De Michele potrebbe sminuire tutto questo e sarebbe l’errore peggiore. La solidarietà della Federazione della Stampa e della Sindacato dei giornalisti campani è arrivata insieme all’assegnazione della scorta, ossia una decisione che viene assunta dai responsabili dell’ordine pubblico in base alle indagini della magistratura ed è il motivo per il quale non sarebbe giusto, ora, trasformare questa storia nell’emblema di errori possibili.
Definire Caserta, da oggi, un luogo “normale” sarebbe un errore. tornare al passato e considerare le minacce della mafia qualcosa di accettabile, incluso nel ‘prezzo’ della professione, sarebbe ancora più inaccettabile. La sottovalutazione delle minacce ai cronisti ha provocato, in passato una lunga scia di cronisti uccisi.
Oggi, a maggio del 2020, i cronisti italiani camminano su un filo sottile e con loro gli organismi di rappresentanza. Sarebbe bello, forse opportuno, che da domani molti di noi, chi non è minacciato dalle pallottole, tornasse a raccontare la Campania, Caserta, Aversa. Perché i casalesi lì stanno già facendo tesoro della simulazione di De Michele, un tesoro utile a screditare tutti i cronisti di nera.
* Fonte: Articolo 21
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