“Guerra alla droga” ma i bilanci criminali ingrassano sempre di più
Mi capita, di tanto in tanto, di ripensare alla risposta che Gary Becker, premio Nobel per l’economia del 1992, dava al giornalista de l’Unità che il 14 novembre del 2009 lo intervistava sulla lotta alle droghe nel mondo: “Sa che le dico? Che la guerra contro le droghe è fallita ma nessuno lo ammette. Eppure basterebbe mettere i numeri in fila per capire che in 35 anni di onorate battaglie si è speso troppo, ottenuto niente e, cosa peggiore, ingrassato i conti delle organizzazioni criminali. Le sembra un buon risultato?”.
Da allora sono passati altri anni e la situazione in generale non è mutata granché nonostante i tanti programmi stilati da Governi nazionali e da organizzazioni internazionali finalizzati a condurre “lotte senza quartiere alle droghe e alla criminalità”. Sono anni, ormai, che rappresentanti delle Istituzioni, analisti, e osservatori vanno ripetendo che la criminalità dei narcos e delle mafie in generale non è più un semplice problema di ordine pubblico e di sicurezza sociale, ma una realtà che pone in serio pericolo la sopravvivenza delle democrazie, delle istituzioni e delle strutture della società civile, l’indipendenza dei Governi e delle istituzioni finanziarie di molti paesi del mondo.
La sottovalutazione o la trascuratezza riservate alla criminalità organizzata hanno determinato prospettive minacciose, preoccupanti anche nelle nazioni ritenute più civili, ricche e organizzate. Le potenzialità economiche e finanziarie del crimine organizzato sono diventate enormi e hanno inquinato le istituzioni anche dei paesi più avanzati. Il consumo degli stupefacenti si è andato sempre più estendendo con effetti devastanti per la salute delle persone. Il campo di azione criminale si è sempre più dilatato grazie anche alle opportunità offerte dalla internazionalizzazione dei mercati finanziari (sempre alla costante ricerca di denaro), ai controlli meno rigidi ai confini.
Non ci stupiremmo affatto di vedere i semisommergibili dei narcos colombiani arrivare nelle nostre acque per scaricare sulle coste siciliane o calabresi tonnellate di cocaina (è accaduto alcuni mesi fa con uno di questi natanti arrivato sulle coste spagnole!).
Una sessantina di anni fa molti rimasero sorpresi di come quantità rilevanti di droga proveniente dal Medio Oriente, dalla Siria e dalla Turchia venissero trasportate su mercantili stranieri e scaricate lungo le coste occidentali della Sicilia. Nella regione Andina, in Colombia, Perù e Bolivia, le coltivazioni illecite di coca continuano ad occupare complessivamente un’area di circa 300mila ettari. Gli stessi di trent’anni fa nonostante le eradicazioni fatte a mano o con diffusione aerea di erbicidi dalle forze di sicurezza e le ingenti spese sostenute, in gran parte dagli americani per contrastare il narcotraffico nei paesi sopraindicati.
Un’azione di contrasto che si è andata affievolendo anche dalle nostre parti con una normativa severa solo sulla carta, con uno spaccio sempre più polverizzato, con scoramenti che comprensibilmente investono gli operatori delle forze di polizia che dopo indagini e arresti vedono rapidamente tornare sul “campo” a spacciare le stesse persone arrestate, la stessa manovalanza, in buona parte costituita da stranieri, di organizzazioni che si arricchiscono sempre più.
Senza contare che parte di questa “ricchezza sporca” derivante dal narcotraffico (diversi miliardi di euro l’anno) va ad incrementare insieme ai proventi stimati di prostituzione e contrabbando di tabacchi, da alcuni anni, il Pil italiano (e di altri paesi UE).
Particolare che non ha scandalizzato nessuno dei parlamentari che hanno letto (ma lo hanno fatto?) la relazione conclusiva della Commissione Parlamentare antimafia presentata poco più di due anni fa dall’allora presidente Rosy Bindi.
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