Il narcotraffico nei Caraibi, “cortile di casa” degli americani
Tutta la zona caraibica, date le sue caratteristiche geopolitiche, è un contesto particolarmente favorevole allo sviluppo di traffici illegali: buon clima (a parte gli uragani..), bacino marittimo comodamente navigabile, innumerevoli isole e penisole, coste ricche di approdi marittimi (ed aerei) molti dei quali incontrollati e incontrollabili; una miriade di sovranità territoriali, spesso più nominali che effettive, con isolotti o spazi confinanti talvolta ancora di incerta attribuzione; un via vai continuo non solo di merci ma anche di persone, indigeni o stranieri, delle razze e delle culture più variegate.
Una situazione ideale non solo per muoversi senza dare nell’occhio, ma anche per condurre, indisturbati, affari e transazioni illecite, purché abili nel destreggiarsi tra le differenze di legislazioni, di normative, di strutture finanziarie (a maglie più o meno larghe), di sistemi burocratici e repressivi (spesso impermeabili o fortemente condizionati dalla corruzione). Sono tanti gli affari tra i quali si può scegliere: traffico di stupefacenti, di armi, contrabbando di immigrati, di tabacchi, di caffè, di oro, elettrodomestici, benzine, precursori chimici. Senza contare le speculazioni finanziarie e il riciclaggio.
Infatti, i lussuosi investimenti immobiliari (villaggi turistici, case da gioco, alberghi, centri commerciali) sono nati come funghi senza alcuna spiegazione socioeconomica plausibile, se non l’utilizzo di un surplus di capitali che, pur di riciclarsi, di entrare nel circuito legale, sono disponibili a subire perdite.
Si potrebbe dire che i Caraibi sono il “ventre molle” del commercio legale e di quello illegale che coinvolge le tre Americhe e, attraverso l’Atlantico, il grande mercato europeo.
Del resto, ormai, ogni discorso su questo tipo di criminalità organizzata va riferito necessariamente alla globalizzazione, poiché le varie imprese mafiose hanno strutture, dimensioni finanziarie e reti di contatti transnazionali pari, se non superiori, a quelle delle grandi multinazionali che operano legalmente sui mercati mondiali. Sicché, accanto a strutture più tradizionali come quelle della mafia italo-nordamericana o a quelle di “casa” come i narcos colombiani e quelli messicani, nei Caraibi troviamo rappresentanza della mafia russa, di quella turca e, naturalmente, anche tanti mafiosi italiani.
Del resto, è riconosciuto, in Colombia, il ruolo di “maestri” esercitato proprio dagli italiani (dai siciliani, in particolare) nei confronti dei cartelli tradizionali di un trentennio addietro (divenuti, poi, “cartelitos” a seguito della miniaturizzazione conseguente alla repressione) almeno per alcuni aspetti organizzativi ed è altrettanto vero che i colombiani hanno poi fatto scuola ai russi per quanto riguarda gli aspetti finanziari.
I russi, da diversi anni, poi, si sono insediati a St Martin, Isola Margarita, Curacao e Aruba, noti paradisi finanziari. E sono queste isole, a poche miglia dalla costa venezuelana, che svolgono un ruolo notevole per il passaggio degli stupefacenti, l’eventuale stoccaggio, nonché per il riciclaggio.
Ad Aruba, per esempio, a febbraio scorso è stata intercettata una nave battente bandiera camerunense salpata dal Venezuela e diretta in Grecia che occultava a bordo oltre una tonnellata di cocaina. E sempre a febbraio, a bordo di un piccolo aereo decollato dalla città venezuelana di Bolivar e costretto ad un atterraggio di emergenza nell’isola, era stato rinvenuto un carico di una tonnellata circa di lingotti d’oro (l’oro serve ai narcos per riciclare il denaro sporco) destinati, dopo un ulteriore carico in Messico, negli Emirati Arabi.
Sequestro di cocaina a marzo scorso, oltre 500kg, anche nel mare di San Andres, altra isola colombiana “perla dei Caraibi” e circa tre tonnellate, sempre di cocaina, bloccate su una nave nelle acque di Curacao ad aprile scorso con la collaborazione della DEA e di agenti inglesi. Nell’isola Margarita, poi, a dicembre 2019, era stata smantellata una banda di narcos capeggiata dal colombiano Henry Carrillo Ramirez (alias Barriga), che trafficava cocaina diretta a Puerto Rico, Repubblica Dominicana, Spagna, Usa.
Una criminalità del narcotraffico che, anche da queste parti, continua ad essere minacciosa, pervasiva, preoccupante.
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