Il rischio di un nuovo post terremoto
Da quando è stato chiaro che le conseguenze economiche della pandemia sarebbero state epocali, e da quando si è decisa una massiccia immissione di risorse pubbliche per alleviarne i danni, ristorare le perdite, ricapitalizzare le aziende e riattivare le imprese e i consumi, immediata è stata la preoccupazione di non ripetere ciò che è quasi sempre avvenuto dopo ogni grande tragedia: che, cioè, forze criminali e speculative, approfittando dei bisogni e delle necessità, diventino “amorevoli” interlocutori di cittadini comuni, di commercianti, di artigiani e di piccoli imprenditori, proponendo aiuti più immediati di quelli pubblici o, ancora peggio, impadronendosi di commesse e di appalti che andranno ad alimentare il loro potere e le loro ricchezze.
E’ questa una preoccupazione esagerata? Indubbiamente qualche volta si attribuiscono lucide strategie ai mafiosi al di là delle loro effettive capacità di previsione e di gestione delle crisi, come se anche il mondo criminale non dovesse risentire dello spiazzamento che investe ogni singolo cittadino che vede sconvolta la propria vita a seguito di tragedie o crisi economiche improvvise. Anche i criminali hanno subito un “lucro cessante” nei due mesi di chiusura in casa degli italiani. Le statistiche lo stanno a dimostrare: calo vistosissimo dei reati predatori (furti, scippi, rapine), del commercio di stupefacenti, dei tabacchi di contrabbando e della prostituzione. Insomma anche i criminali hanno subito dei danni e hanno una grande voglia di rifarsi. Certo, molti di essi hanno una disponibilità di soldi tale da consentirsi il lusso di alcuni mesi di chiusura della “ditta”; ma in quel mondo la competizione è esasperata, e se si sta fermi a lungo altri possono occupare le posizioni lasciate libere.
Dunque, via via che riprenderanno le attività legali, riprenderanno anche quelle illegali. Ma mentre la domanda di beni illegali tornerà presto a livelli pre-crisi (droga, prostituzione e gioco non risentono quasi mai delle crisi economiche), la situazione nuova che si è creata nell’economia legale (difficoltà di liquidità per le imprese e per i singoli) potrebbe oggettivamente favorire l’offerta di capitali criminali rimasti inoperosi in questi mesi per la mancanza di opportunità di reinvestimento. Insomma, i capitali criminali potrebbero incontrare una estesa domanda di prestiti e di sostegno da parte di settori dell’economia legale in difficoltà e con una pervasività più vasta rispetto a ogni periodo precedente. Non è sicuro, certo, ma è molto probabile. L’offerta criminale di beni e di risorse sarebbe impotente se non rispondesse a una domanda di quei beni e di quelle risorse che proviene quasi sempre da settori economici non criminali.
Spesso si attribuisce la capacità delle mafie di adeguarsi ai tempi, di fiutare le nuove opportunità grazie a straordinarie capacità soggettive dei mafiosi, dei camorristi, degli ‘ndranghetisti. Personalmente non sono convinto che esista una loro lucida strategia per guidare o addirittura anticipare i cambiamenti che in alcune fasi storiche, come questa, si determinano. Non c’è un cervello criminale unico che indirizza i mafiosi ad aggiornare le strategie quando “cambiano i tempi”. I cambiamenti delle mafie sono, invece, necessitati o dalle risposte repressive delle forze di sicurezza o dalle nuove opportunità che ad esse si presentano nel corso della storia. Tutto ciò che si verifica nell’universo mafioso è frutto della necessità o delle opportunità.
Dobbiamo considerare i fenomeni mafiosi un adattamento permanente della violenza alle condizioni storiche mutate. Sempre con l’obiettivo di raggiungere potere e ricchezza.
Sta di fatto, però, che dopo le tragedie si innescano delle logiche che travalicano una oggettiva valutazione del ruolo del crimine organizzato nel nostro Paese. Ad esempio, è immediata la richiesta di deroghe alle norme in vigore che si ritengono un ostacolo al veloce operare. La giusta esigenza di fare presto per risolvere problemi impellenti spinge verso un totale abbassamento delle soglie minime di controlli su chi riceve i finanziamenti e su come vengono erogati. E’ un errore clamoroso, ma quasi sempre lo si commette.
A volte, però, la massiccia presenza di mafie e un alto tasso di corruzione negli appalti pubblici vengono usati come motivazione per inserire norme cervellotiche e per dare maggiore peso alle intermediazioni burocratiche. Trovare un equilibrio tra le esigenze di rispondere in fretta ad eventi eccezionali e la necessità di non offrire nuove opportunità e facilitazioni al reimpiego di capitali mafiosi nell’economia legale (o un’esposizione alla corruzione) è uno delle cose più difficili da realizzare in Italia.
Per esempio, dopo il terremoto del 1980 in Campania e Basilicata (quasi tremila morti, 8900 feriti, 687 comuni coinvolti e 50.000 miliardi di lire investiti) furono adottate delle procedure straordinarie per fare fronte ai primi interventi di soccorso da parte delle amministrazioni centrali e locali. Cosa buona e giusta. Successivamente si inventarono delle procedure di appalto del tutto eccezionali e fuori dalle norme vigenti motivandole con la necessità di ricostruire i paesi in fretta e realizzare indispensabili opere pubbliche. Quelle procedure non ottennero il risultato di accelerare i tempi (la fase di ricostruzione durata più di 20 anni) e diedero vita a un livello di corruzione e di condizionamento malavitoso di cui c’è ampia testimonianza negli atti della magistratura e del Parlamento.
Nel 1993 la Commissione parlamentare antimafia, presieduta da Luciano Violante, approvò un’importante relazione sulla camorra nella quale così si sintetizzava il ruolo criminale nella ricostruzione post-terremoto: “La gestione dei finanziamenti pubblici è stata affidata a un impianto legislativo tutto improntato all’eccezionalità e all’urgenza, con ampie deroghe ai procedimenti di spesa, estese deleghe di poteri pubblici a privati e la caduta dell’intero sistema di controlli. In questi caratteri risiede una delle principali ragioni che ha oggettivamente favorito la penetrazione della criminalità organizzata nel gigantesco affare. La camorra non si limitò all’edilizia ma si occupò del settore del credito, di quello dei servizi del grande mercato dell’indotto. Le famiglie camorristiche diventano delle vere e proprie holdings di imprese produttive capaci di controllare l’economia dell’intera regione”. Ed allora la camorra non possedeva le risorse finanziarie che ha oggi e, dunque, l’allarme dovrebbe essere maggiore.
Ma non dimentichiamo che anche lo scandalo del Mose partiva da una situazione di emergenza dopo uno dei tanti allagamenti disastrosi di Venezia. Anche lì procedure straordinarie, poteri in deroga, cessione di competenze pubbliche a privati. Risultato: una delle opere pubbliche a maggiore corruzione nella storia d’Italia, con il presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan, finito in galera, e nessuna realizzazione effettiva in grado di bloccare altre alluvioni.
Potrei citare tanti altri casi, passati e recenti. E davanti a noi sempre la solita questione: perché non impariamo mai dalla storia precedente?
Fonte: Il Mattino, 09/05/2020
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