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Il 25 aprile del partigiano Verdelli

Lorenzo Frigerio il . Informazione, Memoria, Società

neri repubblica“Il giornalismo non è un affare complicato. E’ un mestiere civile, che richiede devozione e passione”. Così scrive Carlo Verdelli in un passaggio fondamentale del suo editoriale pubblicato in tarda serata su Repubblica.it

Il giornale che ha diretto fino ad ieri pomeriggio non si trova in edicola oggi, per lo sciopero che ha bloccato anche l’aggiornamento di web e social fino alla mezzanotte di stasera. A scatenare la protesta dei giornalisti della testata è stata la decisione, del tutto imprevista e imprevedibile, di sostituire Verdelli con Maurizio Molinari, direttore de “La Stampa”, comunicata da GEDI, al termine del Consiglio d’Amministrazione che ha sancito l’ingresso di John Elkann alla guida del gruppo editoriale e una serie di altre nomine dirigenziali.

Una giornata davvero insolita quella di ieri, iniziata con il tweestorm proposto dall’inviato del Tg3 Nico Piro e rilanciato da Articolo 21 e altre realtà associative e singoli giornalisti, dopo le nuove intimidazioni subite dal direttore del quotidiano che, da inizio marzo, è stato messo sotto scorta per disposizione del Viminale.

L’iniziativa ha impegnato i social per tutta la mattinata e anche oltre, ottenendo ampi consensi. Gli hashtag utilizzati  – #IoStoConVerdelli e #AntifascistiSempre – hanno registrato moltissime adesioni tanto di firme del giornalismo italiano che della politica italiana, insieme a quelle di parecchi cittadini.

La scelta della giornata per la mobilitazione non era casuale: il 23 aprile, infatti, era la data ripetutamente indicata nelle minacce lanciate dagli account falsi, tanto in quella in cui il direttore di Repubblica veniva “cancellato” in un manifesto funebre, quanto nell’aggiornamento poi rimosso della pagina di wikipedia a lui dedicata.

Non sappiamo chi si nasconda dietro queste manovre tanto più vigliacche, in quanto chiamano in causa anche la famiglia di Carlo Verdelli. Ci auguriamo solo che quanto prima le indagini in corso possano pervenire a risultati inconfutabili e i responsabili di questa vergognosa campagna intimidatoria siano chiamati a rispondere delle loro azioni.

Ciò che colpisce davvero della vicenda, piuttosto, è la singolare coincidenza tra la prevista “cancellazione” vagheggiata dai “leoni da tastiera” e la rimozione dello stesso Verdelli dalla guida di Repubblica, a poco più di un anno dalla sua nomina.

Una “tempistica imbarazzante” come è stato sottolineato anche nel comunicato del CdR di Repubblica e, lo ribadiamo, francamente incomprensibile, che diventa tanto più paradossale se vista alla luce della mobilitazione a sostegno di Verdelli in corso nelle stesse ore.

Per una questione di stile e in segno di rispetto nei confronti di un direttore, di un giornalista, di un uomo finito sotto protezione per il suo lavoro, la decisione del Cda di GEDI avrebbe potuta essere comunicata in un altro momento. Tra qualche giorno o settimana, una volta superata – definitivamente, si spera – questa fase emergenziale che vede impegnati gli italiani nel contenimento della pandemia da coronavirus e, contestualmente, come è stato sottolineato dal CdR del giornale, la redazione chiamata ad uno “straordinario sforzo”.

E invece, appena ratificato il cambio al vertice della compagine editoriale, Verdelli è stato “cancellato” subito e, paradossalmente, nel nome di una continuità, poi richiamata dalle dichiarazioni di John Elkann: “I principi che sono all’origine del nostro gruppo non cambieranno: continueremo a difendere la libertà di espressione e a impegnarci per garantire un’informazione responsabile e libera da qualunque condizionamento. I valori di sempre insieme a nuove idee saranno la nostra forza, oltre che il punto di riferimento per tutte le persone che lavorano in Gedi”.

Ora, giudichi il lettore come la difesa della libertà di informazione possa conciliarsi o meno con l’allontanamento repentino di un direttore che ha dato una linea forte e precisa ad un giornale e ad un progetto editoriale, nel solco dell’ispirazione iniziale di Eugenio Scalfari, le cui parole contenute nell’editoriale di lancio sono state richiamate sempre dal Cdr: “E’ un giornale d’informazione il quale anziché ostentare una illusoria neutralità politica, dichiara esplicitamente di aver fatto una scelta di campo”.

Una scelta di campo che Verdelli ha adottato fin dall’inizio, prima con una brillante campagna pubblicitaria “Repubblica alza la voce”. Tra i tanti, ricordiamo gli slogan “Anche noi siamo per la legittima difesa”, con riferimento alle morti sul lavoro, oppure “Anche noi vogliamo abolire le tasse”, dove la lotta al racket era raccontata da una foto di una saracinesca abbassata di un negozio e il cartello: “Qui non si paga il pizzo”.

Continuando poi con un restyling deciso e innovativo del giornale, dove un ruolo fondamentale è dato dalla titolazione forte ed evocativa, ma soprattutto dalla centralità di contenuti e approfondimenti che hanno portato nuovamente Repubblica ad alimentare il dibattito politico e la pubblica opinione: insomma, come recitava il claim pubblicitario, “una voce forte e chiara per chi crede in un Paese più civile e democratico”.

Un giornale decisamente meno paludato nel racconto dei riti della politica e volutamente più aperto alla società, con il contributo di voci normalmente escluse dai giochi dei mass media (dalla mobilitazione per l’ambiente di Greta fino alle “sardine”, solo per citarne alcune che hanno avuto come protagonisti dei giovani); con l’aperta opposizione all’esperienza del governo gialloverde, in particolare all’operato dell’ex ministro dell’Interno Salvini; con l’accompagnamento dei casi di Stefano Cucchi e Giulio Regeni e i reportage internazionali sugli omicidi dei giornalisti Daphne Caruana Galizia e Jan Kuciak; con la proposta di inchieste dedicate non solo a mafie e corruzione, ma anche all’evasione fiscale, veri mali atavici del nostro Paese; per arrivare ai giorni nostri, con il racconto drammatico dei rivolgimenti epocali indotti dal coronavirus, con la critica dei ritardi e delle disfunzioni degli approcci governativi e regionali alla pandemia, fino al disvelamento delle tragedie consumatesi nelle Rsa, a partire da quanto successo al Pio Albergo Trivulzio.

Una scelta di campo, non scontata, ma praticata senza esitazioni che gli ha provocato delle critiche, oltre a suscitare consensi, particolarmente nella ritrovata comunità dei lettori di un “giornale che è qualcosa di più di un giornale”, come ricordato dallo stesso Verdelli ieri sera.

Nei prossimi giorni sentiremo e leggeremo di tutto per motivare il maldestro allontanamento di Verdelli. Gli verranno contestati i dati in calo delle vendite del giornale, oppure l’ostinata difesa dei posti di lavoro, in un contesto già difficile in precedenza per l’editoria che il Covid-19 potrebbe anche aggravare (siamo convinti invece che l’informazione di qualità abbia tratto giovamento dal crogiolo doloroso della pandemia e questo vorrà dire nuovi consensi ai giornali, ai giornalisti a patto di meritarseli); si sosterrà anche come titoli del tipo “Cancellare Salvini”, per fare riferimento all’auspicabile superamento dei Dl sicurezza, abbiano alimentato un clima d’odio che altri, a partire dalla famigerata “Bestia”, hanno invece creato ad arte, per trasformare le paure degli italiani in consensi elettorali.

Quando leggeremo o sentiremo questo o altro, proviamo a considerare piuttosto la possibilità che la vera ragione della “cancellazione” del direttore di Repubblica sia stata invece la forte direzione di marcia, imposta da Verdelli al suo giornale, peraltro condivisa con la redazione tutta e anche con lo stesso Scalfari ed Ezio Mauro.

Il suo modo d’intendere il giornalismo e, soprattutto, di praticarlo è e resta scomodo per un Paese che è solito ricorrere a raccomandazioni e sotterfugi, alle piccole come alle grandi illegalità, tanto che si è abituato a convivere per secoli con mafie e corruzione e dovrà, suo malgrado, imparare a convivere con il coronavirus nei prossimi mesi, dopo aver vissuto e sofferto moltissimo in termini di sacrifici e vite umane.

“Partigiani si nasce, e non si smette di esserlo”, così chiude l’editoriale Verdelli: è proprio questo che non gli si perdona, il suo essere partigiano nel segno di parole antiche, ma sempre vigorose come libertà, verità e giustizia. Infastidisce, e non poco, il suo essere costantemente restio ai convenevoli del potere, qualunque potere sia.

In questa davvero singolare vicenda, Carlo Verdelli paga per la sua coerenza e la sua mancanza di padroni: qualità peraltro già dimostrate nella recente vicenda professionale in Rai, dove certi meccanismi di insofferenza nei suoi confronti si sono prodotti in ugual misura tanto da provocarne l’allontanamento.

Domani, 25 aprile, celebreremo la Festa di Liberazione con modalità del tutto inedite che pure sono diventate consuete in questi mesi di lockdown. Nella sezione dedicata alle notizie brevi del nostro sito troverete tutte le informazioni sulle manifestazioni programmate in remoto. Partecipate e fate partecipare, se credete nella nostra democrazia.

Non dimentichiamo che al centro del nostro fare memoria dovranno esserci il ricordo dei caduti e la gratitudine per quanti, giovani e non, persero la vita per liberarci dal fascismo e dal nazismo: senza questo sacrificio, il nostro Paese non avrebbe avuto alcuna possibilità di ricostruire case ed esistenze, ma soprattutto speranze e futuro.

In tempo di coronavirus abbiamo conosciuto i nuovi partigiani di oggi: medici, infermieri, operatori socio-sanitari, uomini e donne delle ambulanze, della protezione civile e delle forze dell’ordine. E ancora i tanti che hanno consentito, continuando a lavorare nei settori essenziali, di offrirci una parvenza di normalità.

Sapere però che il bene essenziale dell’informazione è stato ed è custodito da partigiani come Carlo Verdelli è la migliore garanzia di un nuovo inizio.

E, anche se fa male, poco importa se la trincea non sarà più quella di Repubblica, perché ne troverà sicuramente un’altra dove difendere la libera informazione e dove continuare a battersi per libertà, verità e giustizia.

Buon 25 aprile a tutti noi, ne abbiamo davvero bisogno, per evitare che la fine del lockdown non sia una semplice ripartenza ma piuttosto un nuovo inizio!

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