Il contrasto al narcotraffico in Costa Rica e El Salvador
Tra i due Oceani e gli Stati del Nicaragua e Panama, si estende, per circa 5mila chilometri quadrati il Costarica, repubblica democratica, libera, indipendente, senza esercito.
Su quest’ultimo punto la Costituzione (del 1949) è estremamente esplicita dichiarando, all’art.12, che “se proscribe el Ejercito como institucion permanente”. La vigilanza interna e ai confini, il controllo dell’ordine pubblico, sono funzioni attribuite alle forze di polizia.
Va detto, a riguardo, che nel Paese (conta poco più di 5 milioni abitanti) non si registrano episodi di criminalità che destino particolare allarme sociale e questo nonostante i 560 omicidi registrati nel 2019 (di cui 259 per regolamento di conti tra bande) con un rapporto pari a 11 omicidi per 100mila abitanti (valore inferiore a quello del Guatemala con 21,5, di El Salvador con 36, dell’Honduras con 41,2, ma superiore a quello del Nicaragua di 7,5 omicidi per 100mila abitanti).
Il traffico e il consumo di stupefacenti ed i fenomeni connessi (lavaggio del denaro) hanno assunto, in questi ultimi anni, aspetti preoccupanti. Se, una ventina di anni fa, le forze di sicurezza sequestravano, mediamente, un paio di tonnellate di cocaina ogni anno, oggi la situazione è mutata notevolmente se si pensa alle 35 tonnellate intercettate nel 2019 (record per il Paese) e alle 10 ton di marijuana.
Di certo i vari organismi di contrasto al narcotraffico sono diventati più efficienti e ben strutturati ed anche in questi primi quattro mesi del 2020 si sono conseguiti importanti risultati con il sequestro, a febbraio, di oltre 5 tonnellate di cocaina occultati in un container nel porto di Moin e destinati all’Olanda, mentre circa 3 tonnellate sono state bloccate su una imbarcazione con a bordo tre colombiani e un nicaraguense, in navigazione nel mar Caraibico lungo le coste costaricensi.
I colombiani, ma anche i messicani e i guatemaltechi, sono soci in “affari” da tempo con i gruppi del Costarica che in alcune zone del Paese (per esempio nella provincia di Guanacaste, la meno popolata, nella zona nord-occidentale) provvedono persino alla costruzione di piste clandestine di atterraggio per aeromobili utilizzati per il trasporto di cocaina dalla Colombia.
Nel Paese c’è una buona presenza di italiani (circa 4mila) in gran parte residenti nella capitale e nei centri di Cartago, Alajuela, Heredia e San Vito (una vera colonia italiana), dove hanno acquistato abitazioni, aziende agricole, complessi turistici.
Alcuni anni fa, nel 2015, grazie ad una operazione (“Columbus”) coordinata tra la nostra Polizia di Stato, quella costaricense e l’Fbi, fu possibile bloccare un’alleanza che si stava realizzando tra esponenti della mafia calabrese con gruppi locali che avevano già inviato negli USA, in Belgio e Olanda, circa 3,5 tonnellate di cocaina bloccate nel porto di Rotterdam alla fine del 2014.
Il contrasto al narcotraffico è affidato al CICAD (Centro de Intelligencia Conjunto Antidrogas), un’agenzia nazionale di analisi di dati e informazioni che, elaborati e immessi in un sistema informatico, vengono trasmessi al Centro di El Paso (Texas), dove gli americani li sottopongono ad ulteriore “trattamento” nel contesto generale di azione antidroga della regione.
L’aspetto operativo, nello specifico settore, è attribuito alla Direzione Nazionale di Controllo delle Droghe che dispone di un’adeguata articolazione sul territorio nazionale con propri “distaccamenti”. Un apposito ufficio giudiziario, infine, si occupa dei delitti di narcotraffico ed ha alle sue dipendenze una “sezione stupefacenti” con buone professionalità. Un’azione di controllo antidroga, alla fine, di buon livello.
El Salvador, il coraggio del presidente
El Salvador, in relazione alla sua posizione strategica nell’America centrale è, da anni, un’area di fondamentale importanza per il trasporto degli stupefacenti dal Sud America al Nord e, in misura minore, in Europa.
Il bilancio annuale nell’azione di contrasto appare, tuttavia, ancora modesta se si pensa alle circa 16 tonnellate di stupefacenti sequestrate nel 2019 – un quantitativo, comunque, decisamente superiore ai sequestri degli anni passati che, mediamente, si attestavano intorno a due tonnellate circa – in confronto alle dimensioni del narcotraffico che godrebbe anche di “coperture” politiche.
E’ quanto ha dichiarato il presidente della Repubblica Nayib Bukele nel febbraio scorso, in occasione della cerimonia di giuramento di agenti della Polizia Nazionale Civile, sottolineando come alcuni politici proteggerebbero non solo alcune pandillas ma anche i narcotrafficanti. Che il presidente Bukele, ex sindaco della capitale, non avrebbe avuto un compito facile sul fronte della sicurezza lo si era capito sin dal momento in cui si era insediato, a giugno del 2019, dopo aver vinto le elezioni come indipendente – ma appoggiato dal partito Grande Alleanza per l’Unità Nazionale – e sotto i colori del FMLN (Fronte Farabundo Martì por la Liberacion Nacional).
Il Paese, alla fine del 2019, con un rapporto di 36 omicidi per 100mila abitanti (fonte InSight Crime, 2020) si è posizionato ancora tra i più violenti al mondo, una graduatoria non invidiabile (una posizione, tuttavia, migliore di quella degli ultimi anni ed in particolare del 2014 e del 2015 quando il rapporto era stato, rispettivamente, di 68 e 115 omicidi per 100mila abitanti) dove, peraltro, non vengono conteggiate le centinaia di persone “scomparse” e mai più ritrovate.
Gran parte della violenza è attribuibile agli scontri tra le due bande storiche della Mara Salvatrucha (MS13) e della M18 (nota anche come Barrio 18) e la Polizia. Circa cinque anni fa si registrò un tentativo di costituire un fronte unico tra le due maras (dopo un tentativo di tregua del 2012) per una “forza” che avrebbe dovuto indicarsi come Mara503 (il numero è il prefisso di El Salvador) per realizzare un minimo di coordinamento ed una maggiore capacità di contrasto alla polizia e alle forze militari che, proprio nel 2015, avevano intensificato l’azione repressiva.
Le attività estorsive, lo spaccio su strada di stupefacenti, le rapine, i furti e gli omicidi su commissione, sono appannaggio esclusivo di queste pandillas mentre il traffico di consistenti quantitativi di cocaina provenienti dalla Colombia e in gran parte in transito sul territorio salvadoregno sono riservati ai narcos specializzati nel settore, i “trasportatori” della organizzazione dei Los Perrones e dei Texis. Questi ultimi, in particolare, per svolgere con tranquillità la loro attività hanno privilegiato, sistematicamente, la corruzione di politici, poliziotti e magistrati. Emblematica a riguardo la vicenda risalente al 2015 in cui rimase coinvolto persino l’ex presidente Francisco Flores, destinatario di un mandato di cattura per corruzione e deceduto nel 2016 mentre era agli arresti domiciliari.
I Los Perrones, un tempo abili contrabbandieri di alimenti, abbigliamenti e merci varie, da diversi anni hanno messo da parte questa attività per quella più remunerativa di “azienda” di trasporto di cocaina da un confine all’altro del Paese. Anche in questo caso gli eccellenti rapporti con politici locali e imprenditori hanno garantito una buona “copertura” al gruppo. Nel panorama criminale vengono segnalati i “tumbadores” (ladroni) , in generale persone che hanno pregresse esperienze di lavoro come camionisti e che si organizzano per rubare carichi di droga in vere e proprie imboscate agli autocarri in transito sulle strade.
L’auspicio è che il presidente Bukele con la determinazione ed il coraggio che ha manifestato in questi nove mesi nella sua azione di governo riesca ad eliminare le tante “incrostazioni” che ci sono nella politica e nei vari apparati pubblici.
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