25 aprile, la più bella generazione
Penso al 25 aprile e penso all’epidemia che ci ha investito in questi mesi e alle migliaia di persone anziane che ci hanno lasciato.
Nei giorni in cui noi celebriamo la liberazione dal nazifascismo, ci vediamo costretti a salutare tanti uomini e donne che negli anni della ricostruzione, subito dopo la fine della guerra, hanno dato il meglio di loro stessi per costruire una nuova comunità democratica. I partigiani e gli uomini e donne che ci hanno liberato nella guerra di resistenza fino al 1945 e coloro che hanno disegnato la nostra Carta Costituzionale e il nostro Stato Repubblicano ci hanno certamente dato il dono più grande che una persona possa avere, la libertà.
Ma la mia riflessione vuole correre invece a quelle persone che dopo la prima fase di vita repubblicana, tra gli anni ’60 e ’70, hanno permesso alle nostre generazioni di cinquantenni e sessantenni di oggi, di aver avuto l’opportunità sociale ed economica di trarre enormi vantaggi dalle loro lotte, dalle loro discussioni, dalle loro conquiste. E sono loro purtroppo le persone più colpite da coronavirus in queste settimane. Gli uomini e le donne di 80, 90 e più anni, che erano ragazzi o giovani uomini dopo la fine della guerra, che con il loro lavoro, hanno permesso alle nostre generazioni di avere più diritti nel mondo del lavoro, più possibilità economiche, più opportunità di studiare, più possibilità di viaggiare e conoscere il mondo. Proprio loro che hanno conquistato lo Statuto dei Lavoratori, che hanno permesso a noi di frequentare le università, che sono migrati dal sud al nord, che hanno creduto nella possibilità di abbattere le frontiere e di riconoscere i diritti della dignità di ogni persona, che hanno conquistato il Sistema Sanitario Nazionale, che hanno difeso questo paese negli anni di piombo, sono state le persone decimate dal virus.
Sono, insieme a coloro che ci hanno regalato la libertà, la più bella generazione del nostro popolo. Queste le persone che dobbiamo ringraziare.
Non possiamo non soffermarci un attimo su di noi, uomini e donne oggi cinquantenni e sessantenni e come, nel corso degli anni, abbiamo celebrato il 25 aprile; spesso lasciando in disparte il ricordo della liberazione dal nazifascismo, della conquista della libertà prima e della democrazia dopo. Molto spesso il nostro 25 aprile è stato un giorno di festa qualsiasi, magari da trascorrere al mare o nelle gite fuori porta, tralasciando le celebrazioni in piazza, con uno sguardo benevolo e quasi canzonatorio verso quegli adulti, poi diventati vecchi, che continuavano ad animare o a riempire le piazze. Mi viene in mente il bel pensiero di Piero Calamandrei che dice “la libertà è come l’aria, ci si accorge di quanto vale quando ci comincia a mancare”. Loro, i “nonni” che oggi ci stanno lasciando, ben comprendevano il senso di queste parole, perché avevano sulle spalle la fatica della costruzione. Noi no; forse è oggi il primo momento in cui ce ne accorgiamo, perché attraverso l’isolamento forzato percepiamo quanto ci manca la libertà di muoversi, di lavorare, di stare con gli altri. Oggi respiriamo con affanno….
Se, guardando la nostra storia recente, vediamo il risultato ottenuto, dobbiamo avere la consapevolezza che la società che in questi anni noi adulti abbiamo ereditato da loro, siamo riusciti a renderla più vuota, meno ricca di valori, meno attenta ai diritti di tutti, meno curante e più escludente, più debole sulle cose che uniscono. Proprio l’inverso di quello che hanno fatto chi ci ha preceduto; pure magari si dichiaravano comunisti, democristiani, missini, si scontravano nelle loro diverse ideologie, ma pur nella grande diversità, restava forte e superiore in loro un senso dello stato e della società che noi abbiamo perduto.
Noi adulti di oggi non saremo ricordati dalla storia del nostro paese come una bella generazione. Saremo ricordati come la generazione dell’individualismo e dell’egoismo, come coloro che non si sono fermati mai, correndo dietro alla ricerca di un benessere senza fine, del nostro piccolo o grande potere personale, come coloro che hanno reso affannoso il cammino all’interno di questo pianeta, economizzando tutto, anche i sentimenti.
Tra quel 25 aprile del 1945 e questo 25 aprile del 2020, dopo i partigiani e gli uomini che hanno liberato l’Italia, la più bella generazione erano e sono loro, le persone che hanno costruito le basi solide della nostra democrazia, che dopo essersi sacrificate nella vita, sono state sacrificate anche nella morte, una morte vissuta in queste ore in solitudine, spesso senza neanche lo sguardo affettuoso di un figlio o di un nipote. E’ questo il senso forte che, anche alla luce del Covid 19, mi lascia questo 25 aprile.
Una liberazione che è prima di tutto una liberazione dal nostro ego e dal nostro io, dal dio di noi stessi. E’ questo imparare ad andare oltre, l’ultimo insegnamento che ci hanno lasciato queste persone. Quanto sta accadendo, con la necessità di dover collaborare alla ricostruzione della nostra società è forse anche l’ultima occasione che noi abbiamo per riscattare una vita dove si è più ricevuto che dato, diversamente da quanto ha fatto chi ci ha preceduto.
Forse è questo il nostro 25 aprile, una festa che abbiamo più “sfruttato” che amato.
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