Non è il tempo della guerra, ma il tempo della cura
In un bell’articolo pubblicato sul giornale online www.vita.it dal titolo “Pandemia come guerra, ossia la banalizzazione della complessità” il suo autore Pasquale Pugliese fa ben capire come questo non sia il tempo della guerra come molti pensano, ma il tempo della cura.
Il tema della cura apre scenari completamente diversi perché più che pensare ad un nemico da combattere come il virus, occorre pensare a un sistema che è malato, a una natura che si ribella, a un’umanità che ha sfidato la terra su cui vive e che ora ha la necessità di mettere insieme le sue forze, le sue professionalità e le sue conoscenze per cercare di guarire.
La cura non è mai solo fisica, ma è anche mentale e porta a cambiamenti del nostro modo di essere, di pensare e di stare insieme anche come comunità.
Se c’è un “tesoro” che questo virus ci sta lasciando, è quello di farci capire come molto bene spiega Pasquale Pugliese nel suo articolo che “viviamo nel più complesso dei mondi possibili, nell’orizzonte dell’incertezza globale…..Il paradigma della guerra è il più banale degli schemi, che perde di vista l’interconnessione tra le persone e tra le persone e la natura… Usa una narrazione sbagliata che porta fuori strada e non aiuta a costruire soluzioni efficaci e durature”.
In questo nuovo mondo che si va costruendo attraverso la cura, mi piace per un minuto soffermarmi su aspetti che possono apparire secondari, ma che invece possono essere un punto anche su cui costruire nuovi scenari politici e sociali domani.
Un esempio viene dalla collaborazione in corso ormai da più di un mese a Lodi in Lombardia, tra sanità pubblica e Ong di Medici senza Frontiere che si sono messi insieme per curare principalmente le persone che vivono sul territorio.
In questo caso si sono unite le opportunità offerte da un lato dall’esperienza di dottori preparati a combattere sul campo contro le epidemie, come chi opera in Medici senza Frontiere, e dall’altra i professionisti che, in queste settimane, si sono molto formati sul campo degli ospedali, come i medici e gli infermieri della sanità pubblica per combattere il Covid19.
Il tutto rivolto al territorio e non solo all’ospedale, per cercare di curare e di fare un’azione di prevenzione verso coloro che sono in casa, perché ormai è chiaro, che il nuovo fronte di cura non saranno gli ospedali, ma le nostre case, i nostri luoghi di lavoro, i negozi e i supermercati, in una parola il territorio perché con questo virus dovremo pur iniziare a convivere.
Dovremo ricostruire, o meglio costruire un modo diverso di curare le persone nei territori, perché è lì che si avverte forte un servizio che manca, ad iniziare dai nostri medici di famiglia, lasciati soli nelle nostre città.
Altre belle esperienze sono nate in queste settimane sempre in Lombardia tra un’altra Ong come Emergency e le strutture sanitarie della regione.
A Bergamo un team medico e logistico di Emergency si trova presso l’ospedale Papa Giovanni XXIII ed ha partecipato alla progettazione e all’allestimento del nuovo presidio in Fiera, lavorando fianco a fianco con circa 300 volontari.
A Brescia collabora con la direzione sanitaria dell’Ospedale per proteggere il personale sanitario e l’ospedale dal contagio.
A Milano in risposta all’appello fatto dal Comune ha attivato un servizio per le richieste di trasporto di beni alimentari, farmaci e altri beni di prima necessità per gli over 65, rivolto a coloro a cui è stata ordinata la quarantena e alle persone fragili.
In una Regione guidata dal centro destra che ha fortemente criticato le Ong in questi ultimi anni per la loro azione a favore dei migranti e dei profughi, ecco che ora si riesce a collaborare insieme per il bene superiore della cura della salute.
Chissà, anche da questi incontri di mondi diversi, superando i reciproci pregiudizi, si può costruire una società nuova, basata sul bene comune, sul rispetto e sulla tolleranza.
La cura degli altri, delle persone non può dividere, perché ci porta a perdere di vista un possibile nemico per concentrasi sulla salute di chi in quel momento, chiunque esso sia, ha bisogno del nostro aiuto come persone singole e come comunità.
Qui scatta l’interconnessione tra le persone, da qui scatta il senso di responsabilità di ognuno di noi, dell’idea che salvaguardando gli altri si cura anche se stessi, di tutelare questo pianeta che abbiamo già troppo “sfruttato”.
E’ compito della politica evitare le semplificazioni di cui non abbiamo più bisogno, e aiutare le persone a capire che le scelte che siamo chiamati a fare devono tener conto della complessità del nostro stare insieme, del nostro vivere a contatto, anche se distanti migliaia di chilometri.
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