Pensieri di ricostruzione
Se pensiamo che quanto sta avvenendo non cambi la nostra vita, o magari speriamo che, passata l’emergenza, tutto torni come prima, credo che non ci stiamo preparando ai mutamenti sociali ed economici che il Covid 19 sta causando, nel bene e nel male, a partire proprio da noi stessi.
In questi giorni di solitudine forzata, non è mancato il tempo per elaborare riflessioni diverse, sulla base di quanto sta accadendo, ma che però è possibile ricondurre a un unico filo che le lega insieme: la costruzione di una nuova comunità.
La prima riflessione che mi passa per la testa è relativa alle mascherine, che stanno alimentando il dibattito in questi giorni e che ormai è chiaro, saranno nostre compagne di vita per mesi se non per anni. Ebbene mi sembra giusta la scelta del governo di tornare ad una produzione diretta di questo prodotto, relegata fino ad oggi in paesi come la Cina dove il costo del lavoro è irrisorio e dunque acquistabili a un prezzo molto basso. Domani non sarà più così e non ci dovremo lamentare se il prezzo aumenterà perché il nostro costo del lavoro (che tiene conto del welfare, della sanità, del costo delle pensione, ecc..) è diverso da quello di quei paesi. Non dovremo neanche chiedere allo stato (in tutte le sue istituzioni) di fornirle gratuitamente come fa oggi, non sarà possibile. Lo dovrà fare magari per le persone più fragili, ma non certo per tutti. Ce le compreremo ai prezzi (giusti, calmierati, certamente) del nostro mercato, perché è necessario che chi le produce abbia i nostri stessi diritti. E’ la prima garanzia per tutti.
La seconda riflessione mi viene come dipendente pubblico quale sono e dunque in questa fase tra i più fortunati. Dovrò pensare che una parte del mio stipendio servirà a permettere ad altri di poter tornare al lavoro, magari favorendo soprattutto le piccole aziende, le partite iva, i commercianti di vicinato, perché solo se mi rendo conto che il mio stipendio è garantito da una loro ripresa e dunque anche dal pagamento delle loro tasse, dei loro tributi, potrò contribuire alla rinascita dello stato e tutelare me stesso. Magari non dobbiamo chiedere un rinnovo di contratto, ma gioire del ritorno a lavoro anche grazie a qualche nostro piccolo sacrificio, di altre persone nel privato. Attraverso queste forme di solidarietà potremo difendere la nostra economia anche dalle mafie, pronte come sciacalli a gettarsi addosso all’imprenditore in crisi o alla famiglia senza lavoro.
Al tempo stesso nel nostro piccolo dovremo evitare ogni forma di evasione, dal piccolo scontrino non richiesto al commerciante, a fare lavoretti in nero in casa, mettendo in conto anche di pagare un po’ di più, perché sarà un altro modo di aiutare il nostro paese non solo a risollevarsi, ma anche a garantire il welfare e la sanità a tutti. Dovremmo arrabbiarci sul serio contro chi non paga le tasse perché loro come dice Papa Francesco, in quel momento stanno commettendo un grave crimine anche contro di noi.
Dovremo riscoprire la bellezza della natura, fare un uso più intelligente dei mezzi di trasporto (per esempio evitare di prendere un aereo magari da Roma a Milano o da Milano a Napoli anche se sono un imprenditore in carriera, ma un treno che inquina meno anche se ci mette un po’ di più ad arrivare), evitare di mangiare le fragole a Natale o le zucchine fuori stagione, riscoprendo la bontà del prodotto locale di stagione.
Dovremo gioire per la possibilità di un tetto e un lavoro per tutti, perché oggi stiamo imparando anche a nostre spese, cosa vuol dire risollevarsi da una guerra, aver paura per il domani, provare l’incertezza per noi e i nostri figli, la paura di una morte solitaria nel chiuso di una casa o di una camera di ospedale. Sapremo quindi riscoprire il senso dell’accoglienza, condividendo quello che si ha, perché questo breve viaggio sulla terra è troppo breve per spenderlo solo per futili egoismi, e piccoli vantaggi economici.
Dovremo irritarci se intorno a noi si muoveranno politici non all’altezza, perché in questa fase storica di ricostruzione, di tutto abbiamo bisogno, meno che di una classe politica che non è in grado di guidarci. Dovremo avere il coraggio di mandare queste persone a casa e non rischiare più di affidargli il nostro futuro.
Abbiamo tante cose da fare, prima fra tutte cambiare il nostro modo di vedere la politica, l’impegno sociale, il senso di responsabilità, il sentirsi parte di una comunità.
Sono pensieri così, forse scomposti, ma guidati da una vera grande cosa che abbiamo imparato; siamo tutti legati uno all’altro in una lunga catena umana. Questo virus ha colpito tutti, concretizzando quel pensiero che è tanto caro a noi occidentali: l’uguaglianza.
Ha colpito capi di governo e povera gente, candidati al trono e profughi, imprenditori e operai, medici, infermieri, i nostri tanti, tantissimi anziani, ma anche giovani atleti. Si è mosso dalla Cina all’Italia, passando per l’Iran, trovando casa in America e in tanti paesi ricchi; ha isolato stati, bloccato persone, messo in crisi intere economie e mercati, annullato baci e abbracci. Ci ha resi più uguali e più poveri, ma al tempo stesso più consapevoli.
E’ da questa consapevolezza che si deve ripartire.
In una sua conferenza il nostro Presidente del Consiglio, proprio perché siamo nella settimana di Pasqua, ha parlato di un popolo in cammino lungo il proprio deserto, alla ricerca della sua terra promessa; l’esodo verso la costruzione di un nuovo modo di sentirsi una comunità basata sulla solidarietà.
Perché ciò accada è necessario anche il nostro personale esodo, che è il passaggio dall’individualismo alla presa di coscienza di essere tutti sulla stessa barca, consapevoli che lottare per minori diseguaglianze verso chi è accanto o anche più lontano da me, sono l’unico modo che ho per mantenere i miei diritti e la mia libertà.
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