Virus e carcere: la “cura” non basta
Il DL “Cura Italia” non risolve l’emergenza sanitaria nelle carceri. Sono urgenti misure più adeguate e coraggiose. Abbattere il sovraffollamento è un obiettivo prioritario: a tutela dei detenuti, degli operatori carcerari e dell’intera collettività
La nuova ipotesi di detenzione domiciliare, introdotta con il DL n. 18/2020, non sarà in grado di abbattere il sovraffollamento carcerario né di tutelare adeguatamente la salute delle persone detenute e di tutti coloro che per loro lavorano.
Secondo i dati forniti dal Ministero della Giustizia, alla data del 20 marzo le persone detenute erano 59.132, mentre la capienza regolamentare è pari a meno di 51.000 posti.
Sono numeri altissimi che pongono molteplici e gravi problemi nella normalità, e che, nell’attuale situazione, rischiano seriamente di rendere ingestibile l’emergenza sanitaria nelle carceri.
L’isolamento sociale e il distanziamento tra le persone sono impraticabili quando a condividere spazi già di per sé estremamente ridotti sia un numero di persone notevolmente più elevato di quello regolamentare. Per di più, a tutt’oggi, non sono stati ancora forniti alle persone detenute i presidi necessari per limitare il contagio, né risultano adottate particolari misure di controllo sanitario.
Il rischio di diffusione del coronavirus nelle nostre carceri è quindi altissimo e occorre con urgenza fare tutto ciò che è necessario per impedirlo.
L’abbattimento del sovraffollamento carcerario deve perciò costituire un obiettivo prioritario, da realizzare nel più breve tempo possibile, e il decreto “Cura Italia” non va affatto in tale direzione.
La misura prevista – una nuova ipotesi di detenzione domiciliare destinata a coloro che devono scontare una pena residua non superiore a diciotto mesi – potrà essere fruita da un numero modesto di detenuti: non solo perché alcune categorie ne sono escluse; ma soprattutto perché la liberazione è condizionata all’applicazione del braccialetto elettronico. Una limitazione che rischia di vanificare l’effetto perseguito perché i braccialetti non sono ancora disponibili e non lo saranno in breve tempo. La conseguenza sarà quella di alimentare nuovamente lo stato di tensione interno agli istituti penitenziari.
Come sottolineato da più parti, occorre invece intervenire con misure realmente efficaci. Occorre quindi, già in sede di conversione del decreto:
- modificare l’art. 123 del DL n. 18/2020 elevando a due anni il periodo di pena residua da scontare e ampliando la platea di coloro che possono fruire della misura;
- modificare lo stesso articolo rendendo discrezionale l’applicazione del braccialetto elettronico, come già avviene nella fase cautelare;
- reintrodurre la liberazione anticipata speciale di cui all’art. 4 DL n. 146/2013, che elevava a 75 giorni per semestre la detrazione della pena ai fini della detenzione domiciliare;
- differire fino al 30 giugno 2020 l’ordine di esecuzione delle pene inferiori ai quattro anni per i condannati che già ora possono attendere in stato di libertà l’esecuzione;
- potenziare e accelerare le misure ordinarie, già previste dall’ordinamento, utili a consentire a chi ne abbia i requisiti di poter fruire con rapidità di misure alternative.
Occorre, inoltre, prevedere, attraverso un bando straordinario, l’applicazione endodistrettuale di magistrati presso i Tribunali di Sorveglianza, al fine di implementare provvisoriamente le dotazioni di personale per la più celere trattazione dei procedimenti urgenti. Un’applicazione che, in questo particolare momento di sospensione dell’attività ordinaria, potrebbe incontrare la generosità di tanti magistrati disponibili a svolgere un lavoro supplementare in favore della comunità.
Non meno urgente, è dotare nell’immediato le persone detenute di tutti i dispositivi sanitari utili e assicurare una gestione sanitaria attenta, adottando adeguate misure di prevenzione e monitorando costantemente ogni istituzione carceraria.
La gestione sanitaria nelle carceri ha un ruolo fondamentale nella strategia di contrasto all’epidemia da COVID-19. Si tratta di tutelare il diritto alla salute di persone che, in questo momento, private della loro libertà personale, non possono provvedervi autonomamente. Inoltre, il rischio elevato di contagio di quasi sessantamila persone detenute e delle migliaia di operatori che lavorano dentro il carcere, è un problema che investe la salute collettiva.
Il sovraffollamento carcerario e la salute dei detenuti e degli operatori del carcere sono problemi che riguardano l’intera collettività: richiedono oggi decisioni responsabili e lungimiranti e non debbono assolutamente essere terreno di strumentalizzazioni politiche.
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