Andiamo a sbattere se mettiamo i giovani contro gli anziani
La stagione del “coronavirus”, con il suo intreccio di vicende drammatiche entro una stagnazione greve e vischiosa, non aiuta le riflessioni con distacco emotivo.
Tanto più se si hanno – come nel mio caso – più di 80 anni, cioè un’età che colloca “di diritto” nel novero dei candidati più esposti all’esito nefasto della malattia. Con il problema di conciliare la massima “memento homo qui pulvis es…”, con la crescente sensazione di poter essere alla fin fine considerati da qualcuno come una zavorra a perdere senza rimpiangerla più di tanto; dalla quale anzi partire per teorizzare biecamente che una considerevole diminuzione del numero dei vecchi non solo non comprometterebbe la funzionalità del sistema economico, ma addirittura finirebbe per favorirla riducendo i costi pensionistici e sanitari…
Un ragionamento cinico, che – seppure mai chiaramente esplicitato – comincia a serpeggiare qua e là. In particolare fra coloro che si chiedono se la stagione del coronavirus (una volta conclusa ) si rivelerà un fattore di irreversibile declino o consentirà un rilancio economico-finanziario anche forte nel medio periodo. Un rilancio che (se avvenisse sulla pelle dei più deboli) non avrebbe nulla a che vedere con quanto insegnava il cardinale Martini, secondo cui: “spesso i tempi difficili sono stati l’occasione per temprare gli uomini e per aprire nuovi orizzonti”.
Una asimmetria che ovviamente non toglie nulla, al contrario valorizza, l’altruismo con cui donne e uomini generosi di ogni età (giovani compresi) si prestano volontariamente ad alleviare la solitudine degli anziani cercando di aiutarli nella sopravvivenza quotidiana.
Ma questa asimmetria generazionale è ben poca cosa rispetto ad altre asimmetrie che si riscontrano sul piano nazionale, europeo e mondiale. Asimmetrie dovute tutte alla logica (?) del “my country first”, che induce alcune regioni italiane a momenti di malcelata ostilità fra loro o con il governo centrale, per non dire della irresistibile tendenza di alcuni esponenti politici a polemizzare anche in tempi di coronavirus per tirare un po’ d’acqua al proprio mulino; o che porta la Germania e la Francia alla decisione di bloccare il transito verso l’Italia di materiale sanitario destinato e spettante al nostro paese, per tentare di dirottarlo ad impieghi locali; o che facilita la famigerata gaffe della presidente della Bce Christine Lagarde (“non siamo qui per ridurre lo spread”) ispirata, si dice, da ambienti tedeschi nient’affatto disponibili a solidarizzare con l’Italia nonostante le sue contingenti pesanti difficoltà; o asseconda la naturale vocazione di Donald Trump al bullismo egoistico, manifestatosi con il tentativo (sostenuto con l’offerta di una montagna di dollari) di scippare agli altri paesi, accaparrandosene l’esclusiva, un vaccino anti coronavirus cui sta lavorando la Società Curevac di Tubinga.
Il brutto delle asimmetrie è che tutti, chi più chi meno e ognuno con le sue diverse responsabilità, procediamo in ordine sparso, ciascuno per sé e per suo conto: dimenticando o trascurando il fatto che così alla fine si va tutti (tutti!) a sbattere, innescando una colossale e collettiva débacle politica, sociale ed economica. Perché quando si forma uno strappo non è possibile prevedere dove andrà a fermarsi e può anche accadere che esso si allarghi tanto da ridurre a brandelli il senso morale dell’ umanità.
Contro ogni asimmetria si staglia però il sacrificio di quanti lottano strenuamente – personale ospedaliero su tutti – per superare la cupa stagione che stiamo vivendo.
Come evocando le parole di Aldo Moro (riprese da molti in occasione del recente anniversario del suo sequestro e della strage della scorta) secondo cui: “ Se fosse possibile dire saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a domani, credo che tutti accetteremmo di farlo. Ma non è possibile. Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso. Si tratta di vivere il tempo che ci è dato vivere con tutte le sue difficoltà”.
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