Più antidroga, meno incremento del Pil: il paradosso italiano (ed europeo)
Il sequestro, avvenuto alcuni giorni fa nel porto di Livorno, di oltre 3 tonnellate di cocaina occultate in un container a bordo di una nave battente bandiera delle Marshall e proveniente dalla Colombia, è l’ulteriore conferma della forte richiesta di questo stupefacente sul mercato italiano ed europeo.
Il carico era destinato in Francia, dove sono state arrestate tre persone incaricate di provvedere al trasporto dei sacchi, nel frattempo svuotati dello stupefacente e riempiti con altro materiale a Livorno, dal porto di Marsiglia in una villa. Con questa operazione salgono ad oltre 5,5 tonnellate i sequestri complessivi di cocaina operati dalle forze di polizia in questi primi due mesi del 2020, un trend che quasi certamente determinerà il superamento del sequestro record per tale sostanza, oltre 7,5 ton, del 2019.
Dunque bene l’attività antidroga nazionale, meno bene il Pil.
E’ noto, infatti, che quegli oltre seicento milioni di euro ossia il valore stimato delle oltre 5,5 ton di cocaina, non sono andati a dare quel contributo “criminale” alla ricchezza nazionale che viene computata, da circa sei anni a questa parte, nel nostro Pil e in quello di altri Paesi UE.
Con tutti i problemi che stanno interessando il nostro Paese, quelli economici in primis collegati anche ai noti problemi del contagio da virus, è “sconsigliabile” parlare pure dell’“economia della droga” che porta ad un giro d’affari del narcotraffico “stimato in oltre 450 miliardi di USD a livello mondiale” (cfr. prefazione alla Relazione annuale DCSA del 2019).
Oltretutto, grandi quantitativi di cocaina nei container continuano ad essere le operazioni privilegiate dalle grandi organizzazioni criminali che ricorrono, con sempre maggiore frequenza, al particolare modus operandi del “rip off” utilizzando, cioè “container commerciali riempiti all’insaputa dello spedizioniere mediante l’effrazione dei sigilli doganali e sul successivo recupero dello stupefacente nell’hub di destinazione, avvalendosi talvolta dell’opera di fiancheggiatori interni alle aree portuali” (rel. DCSA citata).
Naufragati, sino ad oggi, alcuni tentativi di disciplinare il punto disponendo, a livello internazionale, norme che obbligassero i vettori a munire i container trasportati dalle navi di congegni elettronici, controllabili a distanza, per verificare l’eventuale manomissione dei sigilli doganali.
La frontiera marittima, con oltre il 90% dei sequestri di sostanze stupefacenti, resta nel nostro Paese (ma anche in Spagna, Olanda e Belgio), l’ambito più interessato dai trafficanti di droga che, comunque, continuano ad utilizzare anche molte altre modalità per trasportare illegalmente ogni tipo di droga.
A partire dall’occultamento sulla persona. E’ successo anche di recente in alcuni aeroporti del Centro Sud America e africani, dove sono stati bloccati alcuni corrieri che avevano utilizzato la cosiddetta “tecnica del fasciamento” con la quale le confezioni di stupefacente vengono occultate al di sotto degli abiti indossati e fatte aderire su varie parti del corpo (spalle, schiena, cosce, polpacci, piedi, zona inguinale). Non sono mancate finte ingessature ortopediche all’interno delle quali è stata occultata la droga o protesi mammarie riempite di cocaina.
I migliori cervelli del narcotraffico sono continuamente all’opera per trovare nuove tecniche di occultamento e di trasporto degli stupefacenti al fine di eludere i controlli di polizia.
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