Le finanze dello Stato e i proventi del gioco d’azzardo e delle mafie
Il gioco d’azzardo, così come definito dall’art.721 del codice penale, è ancora punito nel nostro Paese, sia pure con modeste sanzioni (si tratta di contravvenzioni) dagli articoli 718, 719 e 721 del c.p.
Un “passatempo” ampiamente pubblicizzato e stimolato dallo Stato che dalle scommesse legali incamera, ogni anno, diversi miliardi di euro ( circa 12 miliardi nel 2019).
Un giro di affari notevole di 110 miliardi di euro l’anno come ha rilevato Federico Rubini nell’articolo “Viaggi nella mente di chi gioca d’azzardo” (Corriere della Sera del 2 febbraio scorso) ossia il 6% circa del Pil nazionale.
Sarebbero oltre due milioni le persone che tentano la “fortuna” con lotterie, gratta & vinci, portali in rete e slot machine, spendendo una cifra media di alcune migliaia di euro.
Il debito pubblico, peraltro, si aggraverebbe ulteriormente se non ci fossero queste entrate nelle casse statali perché bisognerebbe reperire quei 12 miliardi di euro mettendo altre tasse. Dunque, le nostre finanze fanno affidamento anche a questa “tassa sui deboli” e che si nutre anche di quei proventi provenienti da attività illecite e mafiose come il narcotraffico, la prostituzione, il contrabbando di sigarette.
Sul contributo, sempre sostanzioso, dato dall’economia criminale al Pil (limitato alle attività appena indicate), la Banca d’Italia, alcuni anni fa, aveva dato un suo importante contributo conoscitivo.
In sostanza, nel periodo 2005-2008 si era calcolato che il 10,9% del Pil fosse riconducibile al suddetto apporto criminale. Apporto che è molto consistente (dai 4 ai 6 miliardi euro l’anno) quello dato dal commercio di stupefacenti, come ho avuto modo di evidenziare in passato, con una prudente stima del fatturato, fatta sulla scorta dei dati sui sequestri rilevati dalla DCSA e dalla media dei prezzi registrati nelle principali piazze di spaccio italiane.
Nel settembre 2014, poi, l’Istat ha attribuito un punto percentuale al peso dell’economia criminale sul Pil nazionale. Si tratta, come noto, di stime che non ricomprendono tutto il volume d’affari delle organizzazioni criminali o l’insieme delle operazioni economiche, legali o illegali, riconducibili a questo tipo di operatori, come ha rilevato la Commissione parlamentare Antimafia nella sua relazione conclusiva di fine legislatura del febbraio di due anni fa.
E’ un dato di fato, alla fine, che il denaro del gioco d’azzardo autorizzato dallo Stato insieme al denaro sporco proveniente dalle attività criminali menzionate abbia una indubbia ripercussione sull’economia del Paese.
Sarà, quindi, molto difficile che qualcuno spinga per ricalcolare il Pil (come auspicato dalla stessa Commissione Antimafia) come si faceva un tempo, prima del 2014, quando con un direttiva l’UE concesse agli Stati membri la possibilità di includere tali attività illegali nel reddito nazionale lordo.
Intanto, sarebbe sensato depenalizzare il reato di gioco d’azzardo per sfoltire un po’ le carte che arrivano dalla polizia giudiziaria nelle varie Procure della Repubblica che contribuiscono all’intasamento degli uffici e che sono destinate, nella maggior parte dei casi, alla prescrizione essendoci pratiche più urgenti e più rilevanti sul piano penale.
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