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I casi Davigo e Gratteri: chi difenderà i custodi?

Rossella Guadagnini il . Giustizia, L'analisi

gratteri-davigoVorrei proporre oggi un’altra versione della celebre frase di Giovenale (Satire, VI, 48-49): Quis custodiet custodes? Chi custodirà i custodi? E, prima di lui, Platone nel De Republica (lib. III, cap. XIII), dove è detto che i custodi dello Stato devono guardarsi dall’ubriachezza, per non avere essi stessi bisogno di custodia: «Nempe ridiculum esset, custode indigere custodem».

Il custode è colui che è addetto alla custodia, ossia che ha compiti di cura e sorveglianza. Non può essere, a sua volta, custodito, non può essere sorvegliato.

Il magistrato è di certo una di queste figure, per l’ordine stesso – autonomo e indipendente – a cui appartiene: la magistratura, uno dei tre poteri descritti dalla nostra Costituzione, legislativo, esecutivo e giudiziario, in un bilanciamento che è fatto sostanzialmente dall’equilibrio delle rispettive forze.

Nel caso in cui questo bilanciamento venisse a mancare, nel caso che avvenisse un allentamento nelle maglie della rete, uno ‘squilibrio nella forza’ (e sto citando Star Wars, nulla di così tecnico), un potere verrebbe a schiacciarne un altro, una forza prevarrebbe sulle altre due. Il danno che ne risulterebbe è grande. È il meccanismo politico e istituzionale del check and balance, come dicono gli anglosassoni, ossia “controllo e bilanciamento reciproco”, che venne realizzato in Inghilterra dal XVII secolo e teorizzato da Montesquie nello Spirito delle leggi, anno 1748. A partire dal principio della divisione dei poteri, il suo scopo è evitare l’assolutismo e salvaguardare la libertà dei cittadini.

Se colui che è figura ‘simbolo’ di un potere non viene rispettato nell’esercizio legittimo di quel potere, allora significa che quel potere non è più riconosciuto in quanto tale, così come quel custode non dovrebbe vestire più l’abito del custode, ma risulterebbe essere un cittadino qualsiasi. Dunque delegittimato del suo particolare potere.

È quello che è accaduto il 1.mo febbraio in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario a Milano e in precedenza: i penalisti hanno criticato le interviste di Piercamillo Davigo (specie in tema di prescrizione), hanno scritto una lettera affinché non fosse affidata a lui l’apertura dell’anno giudiziario in rappresentanza del Consiglio Superiore della Magistratura e poi hanno inscenato una protesta appena il consigliere del Csm ha preso la parola, tentando di sovrastarne la voce. La sua designazione da parte del Csm era stata definita ‘inopportuna’ dagli avvocati milanesi, alla luce delle “posizioni ideologiche pubblicamente manifestate dal consigliere”. Ma contro di lui – in quella sede – non c’era da protestare. Semmai – in altre sedi – c’era da controbattere, da argomentare, da fare insomma gli avvocati.

Era già successo qualcosa di simile nel ‘caso’ Gratteri, a dicembre scorso: un magistrato, Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro, viene accusato di protagonismo, di spettacolarizzare la sua indagine attraverso i media (nome in codice: Rinascita Scott, 334 arresti, 15 milioni di beni sequestrati), di evidenziare solo alcuni dati invece che altri, anche qui di praticare il libero pensiero, manifestando idee non da tutti ben accette.

Dunque se questi custodi non hanno necessità di altri custodi che li custodiscano, perché se la cavano già egregiamente da soli, tuttavia hanno necessità di essere difesi. Ma da chi, se non dagli avvocati, naturalmente, che così potrebbero dimostrare la loro professionalità e guadagnarne la fiducia? Questo ovviamente se noi davvero facessimo così come nella democraticissima Atene di Pericle, a Milano, a Catanzaro o in qualsiasi altro luogo della Penisola.

“Ci è stato insegnato – è detto infatti nel discorso di Pericle agli Ateniesi, nel 431 avanti Cristo, citato da Tucidide – di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa. E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso. Qui ad Atene noi facciamo così”.

Micromega, il blog di Rossella Guadagnini

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