La palude mafiosa nello “Stato illegale”
Una girandola di emozioni, un misto di rabbia, soddisfazione, ansia, speranza si prova leggendo le centosettantaquattro pagine de “Lo Stato illegale- Mafia e politica da Portella della Ginestra a oggi” (ed. Laterza, gennaio 2020), l’ultimo libro scritto da Gian Carlo Caselli e Guido Lo Forte (già coautori, nel 2018, sempre per Laterza, di “La verità sul processo Andreotti”).
E’ stato anche grazie al loro servizio alla Procura di Palermo se “la mafia siciliana è stata indubbiamente indebolita e destrutturata” anche se alcuni dei cosiddetti “scappati (..) ovvero i perdenti sopravvissuti alla guerra di mafia vinta dai Corleonesi (..) tornati a Palermo, stanno recuperando l’antico potere anche rapportandosi con l’ala corleonese, nonché avvalendosi degli storici rapporti con i boss d’oltreoceano”.
Una evidenza che viene annotata pure dagli attenti analisti della Direzione Investigativa Antimafia (DIA), nelle recenti relazioni presentate dai Ministri dell’Interno in Parlamento, e che dovrebbe suscitare apprensione nelle autorità di polizia centrali e locali e in tutti quei cittadini che vorrebbero vivere in un paese libero dalle mafie, mentre, in realtà, “la questione della criminalità organizzata resta ancora oggi – purtroppo – in primo piano”.
Lo rilevano, appunto, i due magistrati nella introduzione del libro, ricordando subito, con il linguaggio netto e chiaro che li ha sempre caratterizzati (e che anche per questo ha infastidito alcuni ), come ci siano in ballo grossi problemi: quello (1) di una politica attuale antimafia inadeguata, “così come difettosa è la rappresentazione mediatica (2) del fenomeno, oscillante tra il diffuso silenzio e il noir delle mattanze napoletane e foggiane..” in uno scenario nazionale in cui “(3) altre organizzazioni criminali sono cresciute in rilevanza e potere, occupando vaste aree prima estranee a una radicata presenza mafiosa”.
Tra i punti analizzati nel libro, quello della “richiesta di mafia” in ambito politico, economico e imprenditoriale, per sottolineare come “la forza della mafia risieda non solo nella sua organizzazione interna, ma anche e soprattutto nelle relazioni esterne”, cioè nelle laide convivenze o complicità e nelle vili coperture di cui essa gode – stabilmente – in pezzi consistenti del mondo cosiddetto legale (e chi ha avuto la possibilità di vivere a Palermo, come chi scrive, una esperienza di servizio nella Polizia di Stato, a metà degli anni Ottanta, può testimoniare quanto sia vero).
Sono quelle “relazioni” con “segmenti della società e dello Stato” che, negli anni, hanno consentito a Cosa Nostra – come emerso in diversi processi – di avere una sua politica di coesistenza e di compromesso con la politica locale e nazionale. E quando qualche coraggioso magistrato – lo sa bene Caselli – ha “osato” istruire processi nei confronti anche di esponenti politici nazionali di primo piano “intoccabili” (emblematico il processo Andreotti) per accertarne il contributo alle attività e al raggiungimento degli scopi criminali di Cosa Nostra, puntuali sono arrivati duri attacchi con espressioni oltraggiose che ancora oggi fanno drizzare i capelli (“cupola mafiosa, brigatisti, pazzi, antropologicamente diversi dalla razza umana” riferite paradossalmente ai pm e ai giudici, solo per citarne alcune tra quelle elencate nel libro). Senza dimenticare le “reazioni diverse ma convergenti, spesso mascherate” finalizzate a “spuntare come minimo le unghie” di magistrati che volevano finalmente applicare le regole a tutti.
Una ventina di pagine sono dedicate, poi, all’“ordinamento istituzionale di Cosa Nostra e alle sue funzioni politiche interne” partendo da una sua dettagliata ricostruzione basata fondamentalmente sulle dichiarazioni di Tommaso Buscetta e di Salvatore Contorno, con i riscontri di altri collaboratori oltre che di accurate indagini di polizia giudiziaria.
Non potevano mancare in un libro dei “fatti accertati e delle verità” alcune pagine riservate alla “trattativa” (“un fatto processualmente accertato sul piano dell’accadimento materiale”) fra Stato e mafia “sicuramente una tra le vicende più inquietanti e intricate di tutta la storia italiana” anche se restano ancora aperti “vari interrogativi sull’esistenza di “mandanti esterni” delle stragi, nonché sull’identità e sul ruolo di altri protagonisti o semplici attori delle trattative”. Sono state due, in effetti, le trattative, secondo la Corte di Assise di Palermo, una nel biennio 1992-1993 e la seconda tra il 1993 e il 1994.
Il libro di Caselli e Lo Forte ha anche il pregio di tenere alta l’attenzione sui gravissimi problemi posti da una mafia in continua espansione con “la straordinaria capacità di mimetizzazione” che la contraddistingue ormai da diversi anni, da quando i mafiosi, trapiantati un po’ dovunque (in Europa e in altri Continenti dove, in molti casi, ancora non è neanche previsto il reato di associazione mafiosa) “fanno di tutto per passare inosservati”, spesso riuscendovi.
Mafie che stanno sfruttando appieno le “nuove opportunità che l’evoluzione quotidiana del sistema tecnologico offre” tanto che appare quanto mai appropriata la definizione di “mafia 3.0” data loro nel libro.
L’auspicio finale è che si possa, con urgenza, “contare su una strategia di contrasto, armonizzata a livello internazionale” perché come chiaramente sottolineato nel libro la criminalità organizzata sta traendo “enormi vantaggi dal jurisdiction-hopping” (letteralmente, salto continuo di giurisdizione), vale a dire un metodo in cui le attività criminali interessano più Paesi rendendo, così in un contesto di “complicazioni legali internazionali (..) praticamente impossibile risalire ai veri responsabili dei traffici transazionali”.
Senza un rapido adeguamento normativo ed una vera e leale cooperazione tra Stati (a quando una Procura europea?), le mafie cresceranno ancora alimentate da quel sistema di potere politico mafioso (“il propellente del poli-partito” come indicato nel libro) che le foraggia da molti decenni.
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