In fase di “rianimazione” l’operazione aeronavale Sophia di EunavforMed
Sembra, dunque, imminente (febbraio prossimo?) la “rianimazione” della missione aeronavale europea Sophia sospesa a dicembre del 2018 perché “inutile e dannosa” come ebbe a dire Salvini, allora Ministro dell’Interno, in quanto “portava i migranti in Italia”, ma interrotta anche per il ritiro della Germania che aveva criticato aspramente l’atteggiamento “intransigente” del nostro Governo sulla questione migranti.
Non sono mancate le immediate puntualizzazioni sugli obiettivi della probabile riattivazione della missione che dovrebbe, secondo il nostro Ministro degli Esteri, assicurare soltanto l’embargo alle forniture belliche dirette in Libia stabilito dalla risoluzione Onu 1970/2011 (obiettivo che era tra quelli stabiliti successivamente all’avvio, a metà del 2015, dell’operazione Sophia) e non per eventuali soccorsi in mare di barconi che trasportano migranti (obbligo derivante da Convenzioni internazionali alle quali non ci si può sottrarre).
Sulla ripresa di Sophia vi sarebbe stata l’intesa in occasione della recente conferenza di tregua di Berlino sulla Libia e si tratterà di vedere se l’operazione sarà ancora a guida italiana e quali Paesi e con quali mezzi, navali ed aerei, vi parteciperanno.
Di certo la prima versione di Sophia non conseguì quei risultati che si era prefissi, in primis il contrasto ai trafficanti di migranti, mentre diede un prezioso contributo nelle operazioni soccorso in mare (in quel periodo vi era anche l’operazione Tritone gestita dall’agenzia europea Frontex) e per questo fu fortemente osteggiata, fino alla sua interruzione, dal ministro dell’interno pro tempore Salvini.
“Rianimare” la missione Sophia significherà, probabilmente, modificare la Decisione2015/778 del Consiglio dell’UE del 18 maggio 2015 secondo cui l’operazione doveva svilupparsi attraverso tre fasi adottando “misure sistematiche per individuare, fermare ed eliminare imbarcazioni e mezzi usati o sospettati di essere usati dai passatori o dai trafficanti”.
Successivamente si aggiunse il compito di controllo sull’embargo di armi e sull’addestramento della guardia costiera libica, escamotage quest’ultimo, adottato anche per consentire ai mezzi navali di Sophia di entrare nelle acque territoriali libiche.
La missione Sophia, lo ricordiamo, passò dalla fase uno (raccolta di informazioni utili nel contrasto al traffico di esseri umani) alla fase due (eventuali fermi, ispezioni, sequestri di imbarcazioni sospettate di essere utilizzate dai trafficanti) e mai alla fase tre (possibilità di svolgere le suddette attività nelle acque territoriali e interne di uno Stato), perché non fu mai adottata una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che consentisse tale ulteriore passaggio, né uno Stato costiero (in particolare dalla Libia) che desse il proprio consenso a tali attività.
Si possono immaginare, si da ora, le polemiche politiche che seguiranno nei prossimi giorni se dovesse davvero riprendere “il largo” la missione di Sophia che, comunque, dovrebbe prestare soccorso, sempre, a quanti si trovassero in situazioni di pericolo in mare.
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