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Immaginare e creare le nuove città

Pierluigi Ermini il . Ambiente, Giovani, L'analisi

gente milanoLe nostre città stanno diventando ogni giorno sempre meno ospitali, così come meno ospitali stiamo diventando un po’ tutti noi.

Presi nella morsa delle preoccupazioni, questa nostra vita sta diventando sempre meno una gioia, e sempre più un problema.

Abbiamo meno cura delle relazioni, anche di quelle più semplici; una volta bastava un saluto, anche solo un sorriso, per uscire da una sfera di solitudine e sentirsi felici per le piccole attenzioni ricevute e date. Ora invece troppo spesso viaggiamo e camminiamo a testa bassa, presi dai nostri pensieri, senza alzare gli occhi e lo sguardo.

Isole sconosciute in un arcipelago infinito, privo di colori come se il mondo finisse nel confine che circonda il mare della nostra vita.

Come uscire da una spirale che sembra sempre più allargarsi e che é  guidata dalla paura e dalla tristezza?

Fortunatamente esistono anche alcune esperienze che vanno contro corrente e sono improntate a una cura e ad un’attenzione nel cercare di coltivare nuove relazioni, soprattutto verso le persone più deboli, che sono coloro che più oggi sono escluse nel nostro contesto sociale (anziani, malati, migranti, poveri, disoccupati, giovani, disabili).

Queste esperienze riguardano anche i progetti in corso in alcune comunità che prendono il nome “la città che cura”. Ci sono città come Trieste e Genova che da anni provano a sperimentare dei progetti in questo senso.

La cura è un’azione che prende spunto dal femminile che é in ciascuno di noi, una visione della vita che in questi lunghi secoli di sistema patriarcale si è andato sempre più assottigliando, in una società basata sul consumismo, sul mercato globale, sulla produzione, sul denaro, sulla competizione senza limiti, diventati sempre più i “valori di riferimento”.

Per uscire da questa spirale e costruire una città che cura, che da spazio alle relazioni, alla solidarietà, alla lotta alle ingiustizie sociali, sentendosi parte di una comunità, occorre in primo luogo dare spazio alla parte creativa che é dentro di noi.

Carl Jung dice che “il processo creativo ha caratteristiche femminili, nasce dalla parte più  profonda di noi” e possiamo aggiungere che è alimentato dalla nostra immaginazione. Noi creiamo ciò che immaginiamo, nel bene e nel male.

Mi viene da pensare che la nostra Costituzione, nei suoi punti fondamentali, è il frutto di come i padri costituenti hanno immaginato la nostra convivenza civile, prima di scriverne le regole fondamentali. E quelle regole erano il frutto anche dell’immaginazione che aveva fatto di loro dei combattenti per la libertà.

Ciò che immaginiamo e desideriamo può essere divino o diabolico, qui sta la nostra scelta, ma certo è la parte materna di noi che poi si trasforma in creatività. È non si è mai separati da ciò che si crea è si mette al mondo.

In questo senso la città che cura si deve alimentare di sapienza e compassione. Conoscenza e condivisione, ovvero entrare nella sfera di vita dell’altro, condividerne le difficoltà e le sofferenze, e al tempo stesso offrire competenza e attenzione, studiare ed essere aperti e curiosi. Tutto ciò può  rendere tutti noi persone curanti all’interno della propria comunità, ciascuno con la propria originalità e unicità.

È non può mancare in questo processo la conoscenza dello spazio dove si vive, del territorio, del “creato” che ci circonda. Perché si può curare solo quello che si conosce e si ama.

È si inizia dalle piccole cose, dalla cura dell’ambiente dove si vive, dal decoro, dal pulire un giardino, verniciare una panchina,  dal saluto a chi si incrocia lungo la strada, alzando la testa, sorridendo. Pensando a coloro che hanno più bisogno, ascoltando le loro storie.

Per fare questo è necessario sentirsi parte del “creato che ci circonda”, godere delle bellezze che scopriamo intorno a noi,  e operare per superare le mancanze, immaginando di costruire una città migliore e dando spazio, per questo obiettivo, alla nostra capacità creativa.

Così la città che cura, è fatta da uomini che curando gli altri, curano se stessi, così  come curando un giardino, quelle piante, potate, annaffiate, curano il giardiniere attraverso la loro bellezza.

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