Mattarella, quelle trame tra destra eversiva e mafia
Scenari che si ripropongono sempre di più scavando attorno ai delitti politici di Mattarella e Reina ma che erano emersi anche a proposito della strage di Portella della Ginestra. Tutto l’aveva raccontato un poliziotto che però…
Oggi sono 40 anni dal delitto del presidente della Regione Piersanti Mattarella.
E come succede da qualche anno a ridosso dell’anniversario vengono proposti scenari investigativi che vedono Cosa nostra e destra eversiva insieme per compiere delitti e crimini vari in Sicilia. Ci sono tracce evidenti in tal senso, ma ancora il movente dell’omicidio del presidente della Regione non emerge.
Certo è che l’azione riformatrice e per certi versi rivoluzionaria condotta da Mattarella contro certi schemi politici fin troppo compromessi con il malaffare mafioso, in quel 1980 dava fastidio ai mafiosi che si andavano scoprendo sempre di più palazzinari, speculatori, imprenditori, banchieri…
Si perchè non è stata certamente meno importante l’azione condotta da Piersanti Mattarella quando sedeva all’assessorato regionale all’Economia, la sua azione tesa a controllare il sistema bancario e a fermare certi intendimenti che pare provenivano in particolare dalla provincia di Trapani, da Salemi, la città dei Salvo ma non solo. All’epoca emergeva già il giovanissimo Pino Giammarinaro, il deputato legato ad ambienti di Cosa nostra, assolto sì ma finito per due volte sorvegliato speciale. E pare che Mattarella avesse notato il movimentismo che arrivava da Salemi e che non portava nulla di buono.
Certo è che se davvero la matrice di quel delitto deve ricercarsi nei contatti tra mafia e destra eversiva, più di qualcuno dovrebbe recitare mea culpa per avere reso carta straccia un rapporto che negli anni ’70 raccontava benissimo quelle trame.
E’ un rapporto informativo firmato da Giuseppe Peri, capo della Squadra Mobile di Trapani. È del 1977 un rapporto finito sepolto sotto una montagna di carte. Lo stesso investigatore fu trasferito da Trapani a Palermo, messo a lavorare in un ufficio nel sottoscala della Questura del capoluogo siciliano. Presto morì per infarto. Un rapporto che varrebbe oggi la pena rileggere, considerato che alcuni dei potentati economici e criminali sono rimasti in piedi, hanno trovato precisi eredi, si sono pure radicati nella politica: l’obiettivo di sempre è rimasto quello di mostrare uno Stato incapace di agire.
«Esiste una potente organizzazione dedita alla consumazione dei sequestri di persona, con richiesta di altissimi riscatti per fini eversivi – scriveva Peri – I mandanti dei sequestri vanno ricercati negli ambienti politici delle trame nere e in ambienti insospettabili. Sequestri di persona, attentati, omicidi, tutto fa parte di un’identica strategia intesa a determinare il caos».
Iniziava così il «rapporto Peri», inviato alle Procure di Palermo, Agrigento, Trapani, Marsala, ed anche a Torino, Roma e Milano. Quaranta pagine che finirono archiviate. Lo spunto investigativo del vice questore Peri erano stati quattro sequestri di persona, una serie di delitti.
La «pista» seguita quella di un patto di sangue tra mafia ed eversione nera. Tra i capi di Cosa Nostra e capi terroristi come Pierluigi Concutelli, a capo di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale. Tra i sequestri quelli degli imprenditori Campisi e Corleo. Base di tutto il territorio di Salemi, dove mafia, politica ed imprenditoria ancora oggi siedono allo stesso tavolo.
Peri individuò anche dei campi paramilitari nel trapanese. Erano i primi anni ’70. Gli stessi campi sembrano essere quelli usati quasi 20 anni dopo da Gladio, tra Castelluzzo e Custonaci, tra Erice e Menfi. Tutto questo tra il 1970 ed il 1975. Anni caldi. Sono gli anni in cui nel Canale di Sicilia cominciano strani traffici, scambi di armi, depositi inviolati sarebbero esistiti dentro le grotte dell’isola di Levanzo. A stringere il patto sarebbero stati il terrorista nero Pierluigi Concutelli e il capo mafia di Salemi, Nino Zizzo.
«Pecorai» divennero sequestratori, non erano mafiosi (lo sarebbero divenuti) e dunque, se individuati, potevano trarre in inganno sui mandanti dei sequestri di persona nei quali erano coinvolti. E nel rapporto del vicequestore Peri finì allora denunciato lo sconosciuto Salvatore Miceli, che nelle ultime indagini antimafia si è scoperto essere uno dei più grossi narcotrafficanti siciliani. Rifugiatosi per anni in Venezuela, è stato catturato pochi anni addietro dai Carabinieri.
Il disegno fatto da Peri era quello dell’esistenza di un piano per sostenere quella che oggi verrebbe chiamata la «strategia della tensione». E nel suo rapporto scrisse anche del «clima di terrore che si abbattè ad Alcamo. Prima gli assassini del socialista Antonio Piscitello e del democristiano Francesco Guarrasi e con una mancata strage in pieno centro, poi nella notte del 28 gennaio 1976, vennero uccisi nel sonno nella casermetta di Alcamo Marina due carabinieri, Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta».
Quattro anni dopo l’omicidio di Piersanti Mattarella. Quaranta anni dopo anche questa non è solo una storia da scrivere, ma una cronaca da far leggere carica com’è di tanta attualità.
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