Le violenze giovanili
Qualcuno, che non siano le sole forze di polizia, i servizi sociali e i sociologi, dovrà pur affrontare quanto prima il fenomeno delle violenze giovanili attribuite alle cosiddette baby gang che si stanno verificando in diverse città.
Davvero troppi, infatti, gli episodi di delinquenza che vedono come protagonisti giovani, spesso giovanissimi.
Molti anni fa, nel 2006, era stato il Servizio Centrale Operativo (SCO) della Polizia di Stato ad occupasi della violenza delle bande giovanili sudamericane caratterizzate da un’elevata aggressività e che si erano evidenziate a Genova, Milano, Torino e Roma.
Oggi, invece, parliamo di episodi inquietanti ad opera di gruppi di giovanissimi (vedremo se si possono già definire bande), in gran parte italiani ma anche con presenze di stranieri, che non esitano a compiere rapine in strada, furti nei negozi, veri e propri pestaggi. E gli ultimi fatti di cronaca sono angoscianti.
Così, in questi ultimi giorni, a Bologna, dove uno studente universitario di 23 anni è stato picchiato e rapinato da un “gruppetto di ragazzini” incappucciati e vestiti di nero, a Milano dove due minorenni sono stati arrestati dai poliziotti dopo aver strappato una catenina d’oro ad un settantacinquenne a passeggio con la moglie.
Violenze che si sono registrate a Legnano (Milano), dove il gestore di una sala slot è stato aggredito da un gruppo di giovanissimi; a Parma dove sono ci sono stati ripetuti interventi delle forze di polizia per rapine compiute da giovani in danno di coetanei; a Varese, dove tre quattordicenni sono finiti al centro di accoglienza del Beccaria di Milano dopo aver rapinato due coetanei alla fermata di un autobus.
Ed ancora, a Foggia con l’aggressione, in strada, di un uomo che finisce in ospedale, da parte di quattro giovani; a Taranto con un sessantenne continuamente minacciato e insultato da una banda di ragazzini (di cui tre minori) arrestati, poi, dai carabinieri; a Trapani con due giovani accoltellati presumibilmente per un banale apprezzamento non gradito nei confronti di una ragazza.
Certo sono molti i fattori che influenzano il nascere e il manifestarsi della violenza giovanile e tra questi sicuramente un contesto familiare spesso contraddistinto da povertà estrema, da violenza intra-familiare, dalla mancanza della figura paterna.
Il gruppo, la banda, in queste situazioni viene a rappresentare uno spazio di protezione e di socializzazione (una sorta di “famiglia simbolica”).
Un ruolo non secondario nella spinta alla violenza lo giocano anche la mancanza di strutture e servizi di base nei quartieri, la mancanza di opportunità occupazionali, le prospettive di esclusione sociale in una società sempre più marcata dalle diseguaglianze, la cultura di una violenza diffusa in ambito familiare e scolastico.
A volte, poi, c’è una comunicazione mediatica che tende ad esemplificare fornendo una rappresentazione errata o sovradimensionata del fenomeno. Come è capitato, in passato, con i giovani sudamericani presenti nel nostro paese che se si riunivano in una piazza erano una banda, mentre se lo stesso facevano i coetanei italiani era per giocare a calcio.
La violenza giovanile resta, comunque, un fenomeno da non sottovalutare che va affrontato in tempo prima che diventi un problema di sicurezza pubblica.
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