Mafie senza confini: serve cooperazione
L’evoluzione del crimine organizzato, la dimensione transnazionale delle più evolute organizzazioni criminali del nostro Paese e la particolare incisività della legislazione italiana impongono l’individuazione di strumenti legislativi o convenzionali che consentano l’esecuzione all’estero dei procedimenti di misure di prevenzione patrimoniali: sequestro e confisca di beni, che possono prescindere da una condanna in sede penale, o dalla commissione di un reato, e che sono basati sulla pericolosità sociale.
È uno dei problemi più avvertiti nell’esperienza quotidiana, in quanto le legislazioni europee ed extraeuropee non conoscono il sistema italiano della prevenzione, frutto di un rivoluzionario disegno di legge che è stato la principale causa dell’omicidio dell’onorevole Pio La Torre, il segretario regionale del Partito comunista, assassinato il 30 aprile 1982, che ne era stato uno dei principali promotori.
Le procedure di rogatoria, alcune concluse, altre tuttora in corso, con alcune nazioni europee, quali la Spagna, la Francia, il Lussemburgo, l’Austria, l’Olanda e il Regno Unito, hanno evidenziato l’essenzialità di una preventiva interlocuzione, attraverso i canali di cooperazione internazionale, al fine di individuare, in base alla ripartizione delle competenze nei diversi Paesi, l’esatto destinatario della richiesta di assistenza e la necessità di esportare il modello italiano per lo meno in tutti i Paesi dell’Unione.
In assenza di strumenti specifici di cooperazione, per ogni procedura, sulla base della mia esperienza, è stato necessario l’intervento giudiziario dell’ufficio italiano interessato e del magistrato o dell’ufficiale (in assenza del primo) di collegamento del Paese richiesto, volto a individuare uno spazio operativo degli istituti del sequestro e della confisca di prevenzione nell’ambito della legislazione richiesta.
Gli strumenti di cooperazione giudiziaria utilizzati finora dall’Autorità giudiziaria italiana per l’esecuzione di tali sequestri e confische in materia di prevenzione sono stati le Convenzioni di Strasburgo del 1990 sul riciclaggio e la confisca dei proventi di reato e del Consiglio d’Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, siglata a Varsavia nel 2005, ratificata dall’Italia con la legge 28 luglio 2016, n. 153. Si è fatto e viene fatto ricorso, in particolare, all’art. 21.1 di quest’ultima convenzione.
La norma prevede, infatti, che “su richiesta di una parte che abbia avviato una procedura penale o un’azione per fini di confisca ciascuna parte” prenda “le necessarie misure provvisorie”. È stato proposto di interpretare l’“azione per fini di confisca” come diversa da quella avviata nell’ambito del processo penale in modo da ricomprendervi anche il procedimento di prevenzione.
Va potenziata la cooperazione internazionale in modo da poter realizzare un’indagine internazionale in grado di seguire i proventi illeciti e il loro reimpiego dalla fonte, via via, in tutti i passaggi di trasformazione degli stessi, al fine di evitare ritardi e superare ogni ostacolo per una celere ed efficace esecuzione.
L’obiettivo è di procedere al sequestro e alla confisca dei patrimoni illeciti ovunque si trovino, con celerità, superando i problemi linguistici, dotando ogni Paese di magistrati di collegamento, impedendo al crimine organizzato di sfruttare pericolosi vuoti di legislazione e di accrescere il suo potere economico e criminale.
E per fare ciò occorre attuare l’armonizzazione delle legislazioni e il mutuo riconoscimento dei provvedimenti di sequestro e di confisca, facendo capire, con un’attenta attività istituzionale di sensibilizzazione e illustrazione, che le strutture mafiose non sono una mera “questione tra italiani che indossano le coppole”, ma forme di criminalità aggressive, basate su un dinamismo imprenditoriale, capaci di imbrigliare lo sviluppo economico anche di Paesi stranieri e che sussiste una comune esigenza di contrastarle, affinché anche questi ultimi non siano costretti a rivivere il nostro tragico passato e il nostro presente.
Va spiegato che le misure di prevenzione sono il frutto di una conquista e che per la loro introduzione nel Nostro Paese non bastò nemmeno l’assassinio del suo artefice (La Torre) e la strage della circonvallazione del 16 giugno 1982, nel corso della quale morì il boss catanese Alfio Ferlito e tre carabinieri che lo scortavano e la scia di sangue che ne seguì. Fu necessaria l’uccisione di Carlo Alberto dalla Chiesa il 3 settembre 1982 per far approvare il 13 settembre dello stesso anno la relativa proposta di legge.
Tra le riflessioni e le esperienze che il disegno di legge di La Torre raccoglieva, vi erano quelli di Rocco Chinnici, a sua volta assassinato il 29 luglio 1983, con un’autobomba nel cuore di Palermo.
* Il Fatto Quotidiano, 31/12/2019
Foto © Paolo Bassani
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