Debito pubblico e democrazia consapevole
I numeri, se non sono stati taroccati, non mentono.
Il 18 dicembre scorso le cifre degli interessi sui titoli di stato italiani e greci hanno evidenziato che il debito dell’Italia è considerato più a rischio di quello della Grecia. Infatti, un Btp decennale italico offriva un interesse annuo dell’1,33%, mentre il corrispondente titolo di stato ellenico si fermava all’1,29%.
Eppure alla fine del 2018 il debito pubblico greco era del 181,2% rispetto al PIL, mentre quello italiano era al 134,8%. Perché la Grecia dai mercati finanziari è oggi considerata più affidabile dell’Italia?
Questa dovrebbe essere la prima domanda che tutti dovremmo porci, classe politica in testa. Invece, su questi numeri si tace. Si preferisce discutere d’altro. Per qualche giorno si è parlato (spesso a vanvera) del MES e poi nulla più. I numeri – soprattutto quando sono determinanti – vengono lasciati nella solitudine.
Viene in mente la storiella che Piero Calamandrei raccontò agli studenti di una scuola milanese il 26 gennaio del 1955: «Due emigranti, due contadini, traversavano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca con delle onde altissime e il piroscafo oscillava. E allora questo contadino impaurito domanda a un marinaio: “Ma siamo in pericolo?”, e questo dice: “Se continua questo mare, il bastimento fra mezz’ora affonda”. Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno e dice: “Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare, il bastimento fra mezz’ora affonda!”. Quello dice: “Che me ne importa, non è mica mio!”».
Nel frattempo nel circo mediatico della politica attuale si danno i numeri delle percentuali dei sondaggi, si propongono funzioni algebriche per la ripartizione dei seggi con la nuova legge elettorale, si calcolano le probabilità della caduta del governo in carica in base all’andamento del mercato della compravendita dei parlamentari.
Povera Italia: come ci siamo ridotti! Quanta arroganza e quanta ignoranza: l’incompetenza elevata all’ennesima potenza. Gente che urla dentro e fuori il Parlamento, persone che firmano ad un banchetto di partito senza sapere per che cosa, politici che reiterano menzogne davanti ad un microfono senza timore di essere smentiti o almeno interrogati dall’intervistatore. Possiamo andare avanti così?
In questa situazione di degrado istituzionale è necessario avanzare proposte coraggiose per costruire una politica consapevole: 1) le scuole e le università devono anzitutto promuovere l’educazione alla cittadinanza, competenze economiche e finanziarie comprese; 2) alle elezioni si possono candidare soltanto coloro che hanno superato un esame di abilitazione con un test di cultura generale e soprattutto di diritto costituzionale; 3) gli elettori possono accedere al seggio soltanto dopo aver risposto correttamente ad una semplice domanda di cultura istituzionale.
Perché la democrazia è anche responsabilità, che significa anzitutto saper rispondere.
La nostra Costituzione prevede (art. 48) come motivo di esclusione dal voto l’indegnità morale e l’incapacità civile. Sarebbe il caso di applicarla.
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