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La lotta alle mafie torni ad essere il primo punto dell’agenda politica

Pierluigi Ermini il . Calabria, L'analisi, Mafie

adc9f5b8-8308-4daa-8d2b-5f89fec4819bOltre 260 arresti, 70 persone ai domiciliari e altre decine di uomini e donne indagati per un totale di oltre 400 persone coinvolte in quella che sarà ricordata come una delle maggiori maxi retate perpetrate dalle forze dell’ordine negli ultimi anni contro alcune famiglie di spicco della ‘Ndrangheta in Calabria nella zona di Vibo Valentia con affiliati del clan Mancuso e di altre famiglie ad esso collegate.

Gli arresti sono stati spiccati dalla Procura antimafia di Catanzaro, diretta da Nicola Gratteri.

Si va da politici, ad amministratori, a professionisti, a imprenditori che risultano coinvolti in tante regioni italiane, fino ad alcuni paesi europei, in vari reati di chiara matrice mafiosa, che prendono spunto da un territorio controllato per gran parte dalla Ndrangheta e non dallo stato.

Da oggi in Calabria si respira un’aria migliore, un’aria che ha il sapore di libertà” – dice Nicola Morra, presidente della commissione parlamentare Antimafia; per lui “la lotta alla criminalità organizzata deve essere il primo punto dell’agenda politica”.

Non sappiamo se sarà veramente così, perché il controllo del territorio da parte della mafia è molto forte in Calabria, ma certo dobbiamo essere consapevoli che un percorso in quella terra martoriata è iniziato da qualche tempo.

Un percorso che è anche sociale e culturale, con la ribellione per esempio delle mogli e madri di ‘ndranghetisti che non si arrendono a vedere persi per sempre i loro ragazzi, chiedendo anche aiuto alla magistratura, in particolare ai giudici del tribunale dei minorenni.

In questo senso ricordiamo il libro di Dina Lauricella dal titolo “Il codice del disonore” che racconta proprie le storie di figlie e mogli di boss che collaborano con la giustizia fino ad arrivare a denunciare i loro parenti o mariti per strappare i propri figli a quello che appare quasi un finale scontato con i ragazzi che entrano nel vortice della delinquenza se non della morte violenta.

In questo senso il “codice d’onore” della ‘Ndrangheta stabilisce quelle che sono le direttive che sono necessarie per far carriera nel crimine, tra cui anche la vendetta che incombe verso quelle donne che cercano di ribellarsi.

Ma la lotta alla criminalità organizzata di cui parla Morra non è solo la lotta repressiva che può essere condotta dalla Magistratura e dalle forze dell’ordine, e neanche la sola reazione di mamme e mogli di ‘ndranghetisti, ma è un processo che deve riguardare tutta la società civile ad iniziare dal mondo politico, amministrativo e imprenditoriale del territorio.

Un processo nel quale la scuola ha un’importanza fondamentale, perché la cultura e la conoscenza sono le maggiori nemiche di una mentalità mafiosa.

Il non parlarne crea la forza della mafia per cui il giornalista Pino D’Aprile afferma che “la forza della mafia è in quell’area grigia che sta fra la complicità e l’indifferenza”

L’indifferenza è l’altro grave dramma che favorisce il proliferare delle mafie e dei loro interessi e nasce dall’ignoranza e dalla non conoscenza.

Così, se nelle regioni del sud le mafie puntano al controllo del territorio, al centro e al nord cercano spazi economici dove far fruttare l’enorme massa di liquidità che deriva dai loro affari illeciti.

Giustamente ci ricorda ancora Nicola Morra che “non basta un applauso al momento degli arresti” ma è necessaria un’opinione pubblica informata e cosciente del rischio che si corre, per far diventare la lotta alle mafie il primo punto dell’agenda politica.

Solo quel giorno potremmo dire “oggi è una bella giornata per chi ha a cuore la legalità”.

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