Sport e politica, specchi di un Paese alla deriva
Da tifoso dell’Inter non sono un grande ammiratore di Mario Balotelli, che reputo un calciatore incompiuto e che non ha saputo sfruttare al meglio per sé, per le squadre dove ha giocato e anche per la nostra nazionale, le indubbie doti atletiche e tecniche di cui dispone.
Ma su quanto è accaduto alla sua persona, non solo domenica scorsa a Verona, ma anche nel corso della sua carriera, con gli insulti provenienti dalle curve degli stadi, condivido in pieno le sue parole e la sua presa di posizione.
Così quel pallone calciato con rabbia verso la curva, è come uno schiaffo tirato a chi vuole portare lo sport e principalmente proprio il calcio, verso un declino pericoloso; un declino che si percepisce anche nella nostra società.
Le parole dette pubblicamente in una intervista da Luca Castellini, un signore che si vanta di essere uno dei principali animatori degli Ultras del Verona, che su Balotelli dice che “.. è italiano perchè ha la cittadinanza italiana, ma non potrà mai essere del tutto italiano”, devono interrogarci tutti ed invitarci ad una seria riflessione.
Eppure proprio lo sport (insieme alla scuola) nel corso dell’ultimo secolo, è stato uno degli strumenti essenziali per promuovere principi come la tolleranza e l’integrazione sociale.
A quelli che vanno allo stadio per dare sfogo nel migliore dei casi a forme di xenofobia (per la Treccani xenofobo è colui che ha paura dello straniero, una paura che si manifesta attraverso comportamenti e atteggiamenti di rifiuto nei suoi confronti) e nel peggiore dei casi a forme di razzismo (sempre per la Treccani il razzismo è una concezione fondata sul presupposto che esistano razze umane biologicamente e storicamente superiori ad altre razze. È alla base di una prassi politica volta, con discriminazioni e persecuzioni, a garantire la ‘purezza’ e il predominio della ‘razza superiore), consiglierei la visione del film “Invictus” di Clint Eastwood.
Il film narra di come Nelson Mandela, appena eletto primo presidente nero del Sud Africa, si pone l’obiettivo di riappacificare la popolazione del paese, ancora divisa dall’odio fra i neri e i bianchi. E lo fa proprio toccando quello che era un simbolo di questa spaccatura, ovvero la nazionale di rugby degli Springboks, simbolo dell’orgoglio bianco afrikaner e detestata dai neri. In vista della Coppa del Mondo nel 1995 ospitata proprio dal Sudafrica, Mandela si interessa delle sorti della squadra, entra in contatto con il capitano degli Springbooks e riesce a far capire l’importanza politica di quelle gare, che possono acuire o far diminuire la spaccatura tra bianchi e neri.
Il successo della nazionale diventa simbolo del riavvicinamento della popolazione nera alla popolazione bianca e l’inizio del processo di integrazione.
Lo sport ha tante di queste storie positive negli anni, ma ora proprio il calcio, primo nostro sport nazionale, sembra ben rappresentare il declino della nostra società.
Possiamo continuare a far finta di niente? Credo che dovremmo iniziare a ragionare come fa un grande calciatore di qualche anno fa e persona da sempre attento ai fenomeni di intolleranza come Lilian Thuram:
“Le partite andrebbero sospese? Il giorno in cui i giocatori che non subiscono il razzismo usciranno dal campo le cose inizieranno a cambiare. Tante volte le persone che non subiscono il razzismo non ne capiscono la violenza. Quanti allenatori e giocatori bianchi avete visto uscire dal campo dicendo ai propri tifosi adesso basta? Nessuno”.
Un declino che poi si manifesta, passando dagli stadi, alle aule del Parlamento, nel triste messaggio trasmesso all’opinione pubblica che in Italia non si si riesce ad avere una unanimità neanche nel creare una commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza, come quella proposta dalla Senatrice a vita Liliana Segre.
Un messaggio pericoloso, perché apre la strada alla tolleranza, anziché verso il diverso e lo straniero, a tanti atteggiamenti e comportamenti di xenofobia e di razzismo che ogni giorno si ripetono nelle nostre città.
Un declino che appare ancora più chiaro dopo l’assegnazione da parte del Ministero dell’Interno a Liliana Segre, senatrice a vita, matricola numero 75190 stampato sul braccio dagli aguzzini di Auschwitz, della scorta dopo le minacce subite in questi ultimi mesi.
Credo che pochi di noi abbiano veramente la coscienza della gravità di questo fatto, proprio perché, come dice Thuram, siamo persone che non avendo subito il razzismo, non ne capiamo la violenza. E quindi non ci ribelliamo, perché in fondo questa cosa, non ci tocca.
Ma non possiamo più permettercelo, la stessa idea di libertà, viene messa in discussione accetando tutto questo, e dobbiamo acquisirne la consapevolezza.
Allora, ripensando al gesto di Balotelli che calcia quel pallone in tribuna e alle parole di Thuram, dovremmo noi cittadini iniziare a ribellarci contro chi sta pecorrendo, sia nello sport, sia nella politica, questa strada che sta portando tutti verso una vera e propria deriva sociale.
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