Da suddito a cittadino, il dovere di aprirsi al mondo
Non abbiamo alternative: se vogliamo essere, diventare, restare cittadini e non sudditi, dobbiamo darci il tempo e avere la costanza di abituarci ad approfondire le cose che accadono, evitando di credere ciecamente a quello che la “politica” in senso generale vuole farci credere.
Dobbiamo curare la nostra indipendenza, la nostra personale libertà, la nostra capacità di riflettere e di ragionare, partendo da ciò che riteniamo per noi essere valori e ideali importanti, alla base dei nostri comportamenti e delle nostre scelte. Dobbiamo dare tempo a noi stessi, evitare la semplificazione di chi propone soluzioni semplici a fatti complessi e cercare di approfondire.
L’alternativa è la delega ad altri e la mancanza di responsabilità personale per rinchiudersi in un piccolo mondo fatto del confine della propria casa, del confine del proprio interesse, del confine del proprio mondo, dove l’io vince sul noi, e il fuori da noi e dal nostro limitato confine diventa un nemico.
È come quando ci accorgiamo di essere deboli, malati e non ci sono altre strade a quella di curarsi e di fortificarci per affrontare meglio la vita che verrà (che dobbiamo trasformare in un tempo positivo e fertile), forti però anche di quello che è accaduto.
Allora iniziamo tutti a curarci, dedicando del tempo a noi stessi.
Per esempio la sera, lasciamo mezz’ora prima il divano e la televisione e spegnendo tutto, nel silenzio, dedichiamoci alla lettura, di un giornale, di un libro, lasciando entrare quella parte che sta fuori dai nostri confini, dentro di noi.
Lasciamo Facebook e Instagram per un po’, il mondo virtuale che ci siamo costruiti, e diamo spazio a ciò che accade nel mondo reale per riscoprire una umanità della quale ci siamo dimenticati.
Curiamoci da chi ci vuole “malati”, ignoranti, bisognosi di risposte di sicurezza, sudditi e non cittadini, che ci vuole inondare con le sue certezze, perché è il primo passo per riscoprire l’umanità che vive in questo nostro pianeta, e la complessità che ci accompagna e di cui siamo solo una parte
Dico questo dopo aver letto in questi mesi due libri bellissimi che hanno la capacità di aprire spazi nuovi di riflessione su chi siamo e su ciò che accade intorno a noi. Libri che prendono, per i quali non vedi l’ora di trovare il tempo per leggerli, per i quali ti addormenti tardi la sera e ti svegli presto al mattino, che vorresti non finissero.
Che quando li chiudi ti restano in testa e ti fanno pensare, che parlando di ieri ti fanno capire l’oggi, che non sono né di destra né di sinistra, raccontano fatti, eventi che ci hanno fatto diventare quello che anche noi oggi siamo.
Vi consiglio di leggerli: “Quando inizia la nostra storia” di Federico Rampini e “M. il figlio del secolo” di Antonio Scurati.
Non sono libri di parte, ma li collegherete al tempo che stiamo vivendo, alla fragilità e al tempo stesso dell’importanza delle scelte che la politica compie, a come queste scelte caratterizzano la storia che oggi noi stiamo vivendo. Apriranno le nostre menti e contemponeamente i nostri piccoli confini di sicurezza si sfalderanno, aprendoci al mondo e alla strada, là dove la vita ci chiama a stare. Ma sono solo un consiglio, importante è avere questa cura di noi e non interromperla mai. Farla diventare una sana abitudine per vivere una maggiore consapevolezza di noi stessi e degli altri.
Diventeremo dei “migranti intellettuali”, pronti più alle incertezze delle domande che non alla falsa sicurezza delle risposte facili; un po’ eretici, ma certamente più cittadini e meno sudditi.
Una cosa che dà molta noia a chi fa politica solo per gestire il potere e il proprio tornaconto personale e non come servizio per la ricerca del bene comune, un bene che non può riguardare solo me e i miei piccoli confini, ma che deve avere come scopo e confine l’umanità.
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