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Arlacchi e la sua visione sul narcotraffico

Piero Innocenti il . Droga, L'analisi

pino-arlacchiAlcune valutazioni fatte sulle droghe da Pino Arlacchi (cfr. “Droghe, legalizzare, è solo pericoloso”, il Fatto Quotidiano, 29 ottobre), meritano qualche riflessione che provo a fare come ex dirigente della Polizia di Stato ed esperto antidroga negli anni passati che ha continuato a seguire molte vicende del narcotraffico a livello nazionale e internazionale.

Ho, intanto, qualche perplessità sul particolare che “la grande offensiva antimafia” degli anni passati “abbia finito col mettere fuori gioco – in Italia, nelle Americhe e nel Sud-est asiatico – tutti i maggiori cartelli della droga” riducendoli a “centinaia di piccoli cartelli, meno vulnerabili alle indagini”.

In realtà, in Colombia, ancora oggi il maggiore produttore mondiale di cocaina con più di 1.000 tonnellate stimate, oltre a qualche cartello “storico” ancora attivo (per esempio del Cauca), il narcotraffico è gestito da diversi “cartelitos”, da molteplici gruppi sparsi nel Paese e da frange della guerriglia dell’ELN, tutti  in affari con narcotrafficanti panamensi, guatemaltechi, honduregni, salvadoregni e, soprattutto, con i poderosi cartelli messicani che hanno assunto negli anni un ruolo determinate nel trasferimento della cocaina verso i mercati nord americani (ma anche verso quelli europei).

Non sono d’accordo neanche sull’“uso della violenza ridotto” in conseguenza della parcellizzazione dei cartelli; sarebbe sufficiente vedere costa sta succedendo in Messico in tema di violenza collegata al narcotraffico tra i vari cartelli (su tutti quello indicato come Jalisco Nueva Generation) e altri gruppi criminali nel controllo di rotte ed esportazione di stupefacenti: circa 25mila omicidi dall’inizio dell’anno, in buona parte attribuiti a questa guerra in atto.

Ho qualche dubbio anche sul punto che si sia esaurita “l’espansione del numero dei consumatori nei mercati più ricchi (Europa e USA), soprattutto per le droghe pesanti”. La diminuzione dei prezzi di tali droghe – come sottolinea Arlacchi – ed i consistenti sequestri di carichi di cocaina, di hashish e di marijuana operati annualmente dalle forze di polizia dei singoli Statti dell’UE (cfr. Relazione europea sulle droghe,2018, a cura dell’Osservatorio europeo di Lisbona), evidenziano un fenomeno per nulla calante.

Credo, poi, che i profitti derivanti dal commercio della droga per la “grande criminalità italiana” siano qualcosa di più di quel 20% del fatturato globale indicato da Arlacchi, “in calo rispetto all’80% di 40 anni fa”.

Tutte le analisi e le valutazioni fatte nei rapporti annuali della DCSA e della DIA degli ultimi anni confermano, invece, lo straordinario moltiplicatore di ricchezza che è costituito dal narcotraffico senza dimenticare il ruolo notevole che hanno assunto in questo ambito criminale, nel nostro Paese, le varie organizzazioni criminali straniere, su tutte quella nigeriana, albanese, cinese, nord africana.

Sono d’accordo con Arlacchi quando parla di pericoli connessi alla legalizzazione delle droghe (slogan ripetuto spesso e che ha contribuito anche a quello “sdoganamento culturale delle droghe” come lo ha indicato di recente lo stesso Capo della Polizia Gabrielli) e sulla esigenza  di maggiori, severi controlli sulla commercializzazione di farmaci antidolorifici, a base oppiacea che, negli USA in particolare, hanno causato una ecatombe di morti per overdose.

Nessun accenno da Arlacchi a quella che ritengo una esigenza fondamentale nella lotta alle droghe e cioè la prevenzione all’interno delle istituzioni educative. Punto, questo che viene ignorato da decenni salvo qualche isolata ed estemporanea iniziativa dovuta a singoli istituti scolastici.

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