La ‘ndrangheta è (sempre) la mafia più potente al mondo
Tra i primati, certamente non entusiasmanti, detenuti dall’Italia vi è quello di essere il Paese, unico al mondo, che ha generato quattro mafie (alle quali si sono aggiunte alcune straniere) e tra queste quella diventata “più estesa, ramificata e potente al mondo”, ossia la ndrangheta (dal sito della Polizia di Stato, ufficio stampa, 17 ottobre scorso).
E’ stato uno dei temi affrontati in occasione della 88^ Assemblea Interpol (vi aderiscono 194 Paesi di tutto il mondo) che si è tenuta a Santiago del Cile alcuni giorni fa e alla quale ha partecipato anche una delegazione italiana guidata dal direttore centrale della polizia criminale (Dipartimento della Pubblica Sicurezza).
Riunioni senza dubbio importanti e di alto profilo che si susseguono da decenni e sono utili a sviluppare (anche a consolidare) rapporti di collaborazione istituzionali e interpersonali (talvolta anche più importanti). ma che non hanno ancora consentito di raggiungere quei risultati operativi globali auspicati “per contrastare una minaccia mondiale” rappresentata, appunto, dalla ‘ndrangheta. Diventata, con il passar degli anni, grazie anche a distrazioni e sottovalutazioni politiche e investigative, a complicità e a collusioni con segmenti istituzionali, politici e massonici “principale mediatore del mercato mondiale degli stupefacenti in grado di condizionare l’attività economica ed istituzionale dei territori in cui si insedia” (Polizia di Stato, cit.).
E se sono addirittura 30 i Paesi di tutti i continenti, come è emerso nel corso dell’Assemblea Interpol, in cui sono presenti rappresentanze operative della mafia calabrese, la sua “mondializzazione” paventata come minaccia molti anni fa, è ormai una realtà.
L’analisi criminale “predittiva” cui pure si è fatto cenno a Santiago del Cile con un programma, auspicato, basato sul “patrimonio informativo di banche dati interconnesse”, temo servirà a poco perché la “colonizzazione mafiosa” in molti Paesi si è fortemente radicata.
Di questa presenza della mafia calabrese in “mezzo mondo” (e della potenza economica raggiunta) me ne parlò, quasi un quarto di secolo fa, in un colloquio che ebbi nel carcere di Bogotà dove era recluso, Roberto Pannunzi, il più abile ed esperto broker del narcotraffico mondiale, arrestato nel 1994 a Medellin, dopo una lunga latitanza, dalla Polizia Antinarcoticos colombiana con la collaborazione di personale della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga italiana.
In tutti questi anni, sarebbe stato sufficiente leggere (e soprattutto studiare) le preziose analisi (anche predittive) fatte nelle periodiche relazioni redatte dalla DIA e presentate al Parlamento dai Ministri dell’Interno che si sono succeduti nei vari Governi.
Anche nell’ultima relazione del luglio 2019 (dati e attività riferite al secondo semestre del 2018), sulla ‘ndrangheta gli analisti della DIA hanno sottolineato la “strategia espansionistica riscontrata anche in Germania, nei Paesi Bassi e in Belgio, Paesi contaminati dai capitali riciclati dalle cosche Pelle-Vottari di San Luca, Ietto di Natile di Carreri e Ursini di Gioiosa Ionica”.
L’operazione, denominata “Pollino-European ‘ndrangheta connection”, conclusa nel dicembre 2018, ha fatto emergere come al solito un vasto traffico di stupefacenti (il narcotraffico è presente in quasi tutte le operazioni anticrimine), ma anche riciclaggio di denaro in ristoranti e gelaterie (usati anche per immagazzinare le droghe) sia in territorio tedesco che olandese.
L’unica nota stonata è stata il tentativo dei calabresi di pagare in bitcoin i narcos colombiani che hanno rifiutato per la dichiarata incapacità di utilizzare tale cripto moneta.
Alla fine va detto che la presenza e la “contaminazione” criminale della mafia calabrese in molti settori economici del Paese è l’aspetto più drammaticamente preoccupante.
A tutto questo si aggiunga l’altro pericolo prospettato dalla DIA di processi di “ibridizzazione” che si possono innescare tra le nostre mafie e quelle straniere stanziali in Italia con possibili “mutazioni genetiche” ancor più pericolose perché “meno riconoscibili”.
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