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Sicurezza pubblica: il Far West italiano

Piero Innocenti il . Criminalità, SIcurezza

sergio_leone-cera_una_volta_il_westNon rientro di certo nella categoria di quelle persone che rilasciano dichiarazioni o scrivono sulla (in)sicurezza pubblica per contribuire alla costruzione e diffusione di paure che spesso vengono strumentalmente utilizzate per fini politico-elettorali.

Non sono neanche ossessionato dal generale stato di insicurezza (reale) che si rileva in diverse zone del Paese dove, con troppa frequenza, si verificano fatti delinquenziali anche molto gravi ed uno spaccio di stupefacenti fuori controllo.

Non mi sento, tuttavia, neanche tranquillizzato quando leggo sui quotidiani le rassicuranti affermazioni di quanti, politici, autorità di pubblica sicurezza o rappresentanti delle forze di polizia, parlano di delitti (denunciati) in calo nei vari ambiti territoriali, attribuendo questo dato ad una accentuata attività di polizia di prevenzione e di polizia giudiziaria che, con le sempre più scarse risorse umane di polizia di stato e carabinieri, riesce difficile rilevare (anche in un contesto di coordinamento interforze ben fatto o di “sinergie” istituzionali che spesso vengono enfatizzate).

Più aderente alla realtà, forse, pensare ad un calo di delitti che si rileva negli ultimi tre anni collegato alla sfiducia della gente (per un sistema giudiziario e normativo carenti, inadeguati) che non va più a denunciarli. Resta alta, fortunatamente, la fiducia dei cittadini nelle nostre forze dell’ordine che ce la mettono tutta per contenere una delinquenza sempre più arrogante e pervasiva.

Una delinquenza che, in qualche caso, spinge a fare paragoni, qualche anno fa impensabili, con altri Paesi ad alto tasso criminale, soprattutto quando capitano fatti come quelli degli ultimissimi giorni a Messina, nel rione Santo-Bordonaro, dove si spara da uno scooter all’indirizzo di un’auto parcheggiata e si risponde da un balcone con altri colpi di arma da fuoco; a Policoro (Matera) dove due uomini, già noti alle forze di polizia, vengono feriti a colpi di pistola e ricoverati in prognosi riservata; a Napoli, in pieno centro storico, dove un commerciante viene gambizzato con alcuni colpi di pistola da un uomo dileguatosi a bordo di un motociclo; alla periferia di Anzio (Roma) dove due malviventi armati di fucile tentano una rapina in un negozio gestito da un cittadino straniero e sparano un paio di colpi dopo aver constatato che la cassa era vuota; a Lecce dove due delinquenti sparano e rapinano un’auto alla periferia della città.

Ma non sono soltanto queste sparatorie a creare allarme e sgomento, stati d’animo legittimi e comprensibili, sono anche le altre violenze che non arrivano quasi mai sulle prime pagine dei quotidiani più diffusi a livello nazionale ma che evidenziano, messi insieme, un quadro davvero preoccupante sullo stato della sicurezza pubblica.

Così, negli ultimissimi giorni, a Palermo dove la squadra mobile arresta quattro spacciatori che avevano sequestrato e picchiato alcuni clienti “insolventi” nei pagamenti degli stupefacenti acquistati costringendoli a fumare crack; a Ostia (Roma), dove madre e figlio vengono sequestrati e rapinati in casa; a Reggio Calabria dove il titolare di un negozio per l’infanzia viene derubato e pestato a sangue da due malviventi; a Vibo Valentia, nella frazione di Piscopio, dove in un agguato due giovani vengono feriti a colpi di arma da fuoco; a Foligno dove una donna di ottant’anni viene drogata e rapinata in casa, stessa sorte toccata ad un uomo, anche lui 80 anni, bloccato sulla strada di Altopascio (Pistoia), scaraventato fuori dall’auto che guidava e rapinato. Ed ancora, a Roma, in un villino alla Romanina dove un’anziana donna è stata assalita nel suo villino da tre malviventi e derubata dei gioielli.

E si potrebbe continuare parlando delle migliaia di spacciatori che hanno ormai campo d’azione libero grazie ad una legislazione che lo consente (a Firenze, per ultimo, nove pusher condannati dal tribunale a pene variabili, la più alta a tre anni e otto mesi, sono tornati tutti liberi).

In uno scenario così desolante nascono e si diffondono i “gruppi di vicinato” dei cittadini per “rafforzare” la prevenzione nelle città e “collaborare con le forze di polizia” segnalando situazioni “sospette”.

Sono i segnali, preoccupanti a mio avviso, che preludono a forme di autodifesa cittadina sorte tempo fa in alcuni Paesi dell’America Latina (Messico, Colombia) e che poi le autorità hanno cercato, senza riuscirci, di controllare

Ordine pubblico e sicurezza, spetta allo Stato la loro tutela

La tutela della sicurezza pubblica nelle nostre città continua ad essere un tema di particolare interesse per molti cittadini che quasi quotidianamente apprendono o sono anche testimoni di gravi e meno gravi episodi di delinquenza.

E non sono per nulla tranquillizzanti le dichiarazioni  (i delitti in calo) rese alla stampa qua e là da taluni esponenti politici, ma anche da autorità di pubblica sicurezza che pensano di poter risolvere, o anche solo attenuare, i problemi della sicurezza pubblica, incentivando la nascita dei cosiddetti gruppi di vicinato costituiti o che stanno nascendo in diverse zone del Paese.

Iniziative, peraltro, che sembrano in contrasto anche con quanto statuisce l’art. 1 del TULPS, Testo Unico delle Leggi di Pubblica sicurezza secondo cui “l’autorità di pubblica sicurezza veglia al mantenimento dell’ordine pubblico, alla sicurezza dei cittadini, alla loro incolumità e alla tutela della proprietà..”, precisando, nel quarto comma, che tali funzioni sono esercitate dal prefetto e questore quali autorità provinciali e dal dirigente dell’ufficio di pubblica sicuresza del luogo o, in mancanza, dal sindaco, quale autorità locale di ps.

Non era lontanamente immaginabile al legislatore del tempo anche solo ipotizzare un “concorso” in tali funzioni di cittadini organizzati che pur non sostituendosi alle forze di polizia (come si sottolinea spesso nelle occasioni di riconoscimenti ufficiali di tali gruppi), in effetti, svolgendo attività di controllo del territorio urbano che si concretizza in compiti di osservazione, annotazione e segnalazione di persone e veicoli ritenuti “sospetti” a referenti individuati nell’ambito del gruppo, viene a configurarsi come una funzione di polizia di prevenzione generale che spetta solo alle forze di polizia e a quelle locali.

Non può, allora, che destare perplessità questo fiorire di gruppi “whatsapp” (anche spontanei, come in alcune località della Versilia), di gruppi di “contatto” per aumentare la “conoscenza” del territorio e la sicurezza (vedi alcuni Comuni di Empoli), di protocollo di intesa sui gruppi di “controllo” (vedi Avellino), di iniziative estemporanee che prevedono “ronde” con ex agenti della polizia di Stato e carabinieri in alcune zone a rischio (Milano).

Non servono neanche le “benedizioni” prefettizie sulla “sorveglianza partecipata” (si usano le espressioni più fantasiose) che va avanti (Belluno) anche se una legge regionale in Veneto, che da sostegno al controllo di vicinato, è stata bloccata dal Consiglio dei Ministri.

Né si può pensare di risolvere i pur gravi episodi di spaccio di stupefacenti nelle città “ingaggiando un servizio di vigilanza privata” (un comitato di commercianti a Padova).

L’Italia non può “colombianizzarsi” (vigilantes armati intorno alle case di Bogotà) né “messicanizzarsi” (gruppi di autodifesa cittadina in molti villaggi per difendersi dai malviventi).

E’ pur vero che in diverse situazioni urbane la paura della criminalità non dipende esclusivamente dai tassi di criminalità. Sul sentimento di insicurezza, come ho scritto in altre circostanze, incidono il degrado, gli atti di inciviltà, di arroganza, di aggressività anche solo verbale.

L’abbandono di edifici e di parchi, la sporcizia e le scritte sui muri, i cassonetti stracolmi di spazzatura (e a Roma la situazione è fuori controllo), gli atti di vandalismo, i disturbi in genere, i cocci di bottiglie in strada, la prostituzione visibile, insomma il  degrado urbano a cui si aggiungono la grave carenza dei servizi pubblici (anche in questo la capitale eccelle) e la caduta dei valori di solidarietà, vengono interpretate come effetti di un’assenza delle istituzioni di controllo.

Da tutto questo si genera uno stato di demoralizzazione diffuso che accentua l’insicurezza della gente e il distacco dalle istituzioni.

E’ lo Stato garante verso i cittadini sulla materia dell’ordine pubblico e della sicurezza. E farsi garante vuol dire che il diritto alla sicurezza deve essere goduto in maniera identica su tutto il territorio nazionale, da tutte le comunità.

Continuare ad  attribuire anche soltanto alcune funzioni di questo delicatissimo compito della prevenzione generale ai cittadini organizzati in gruppi con referenti e magari “archiviando” elementi informativi, anche se sensibili, potrebbe determinare seri problemi.

La rassicurante Ministro dell’Interno

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