Dalla parte dei curdi di turno
Il provvedimento di sospendere la vendita di armi alla Turchia da parte di molte nazioni europee e, buoni ultimi, anche da parte del governo italiano, è un segnale importante. Ma è solo un segnale.
Le armi con cui l’esercito turco combatte questa guerra ce le ha già, più precisamente, gliele abbiamo già vendute.
Anche quando alcuni gruppi e associazioni, isolate e inascoltate, dicevano che si trattava di un governo inaffidabile e non democratico, l’Italia (ma non solo) continuava a stipulare affari lucrosi nel settore bellico con quel Paese membro della nostra stessa Alleanza Atlantica.
Perché la Turchia per noi è troppo importante. E non solo per via delle politiche migratorie, ma anche per quelle energetiche e per una serie di scambi commerciali considerati rilevanti per la nostra economia.
I temi semmai sono due: che l’Unione Europea e le Nazioni Unite iscrivano “seriamente” nella propria agenda il tema dell’intervento diretto e rapido a difesa delle popolazioni per scongiurare la guerra e che riducano in modo verticale la produzione armiera con un serio programma di riconversione.
Tutto il resto rischia di diventare retorica che non serve affatto alle popolazioni curde e nemmeno alle vittime della prossima guerra.
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