Nicastri, il “re dell’eolico”, l’ex deputato Arata e la latitanza di Messina Denaro
La magistratura milanese ha chiesto di potere andare a guardare dentro i pc e i telefonini dell’ex sottosegretario leghista Armando Siri. L’autorizzazione a procedere è arrivata dalla Giunta delle immunità del Senato, con 13 voti a favore, espressi dalla maggioranza, Pd, 5 Stelle, Leu e 8 contrari, Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. Siri è indagato per autoriciclaggio a causa di un prestito ottenuto da un istituto bancario di San Marino. La decisione della Giunta, per diventare definitiva, dovrà essere confermata dall’Aula.
Il voto nella Giunta contro Siri, per semplice coincidenza, senza contatti diretti, è arrivato a poche ore dalla notizia della condanna a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, dell’imprenditore alcamese Vito Nicastri, da tecnico specializzato in installazione condizionatori d’aria, è diventato in poco tempo il cosiddetto “re dell’eolico”, super manager di una holding con ramificazioni anche internazionali, ma con base in Sicilia, che si è occupata di energie alternative.
Il nome di Nicastri è legato a quello di Siri attraverso l’ex deputato Francesco Paolo Arata, nomi venuti fuori da una indagine della Dia che si è divisa in due tronconi tra Palermo e Roma.
La Procura della Capitale sta indagando per corruzione l’ex sottosegretario Siri, “licenziato” dal premier Conte quando sedeva nel precedente Governo: Siri avrebbe ricevuto 30mila euro da Paolo Arata, l’ex deputato di Forza Italia in affari con Vito Nicastri. L’intervento di Siri sarebbe stato sollecitato da Arata per introdurre un emendamento in una delle leggi di bilancio votata dal Parlamento durante il primo Governo Conte, emendamento poi saltato perché ogni variazione fu bloccata dal Governo per favorire la destinazione di risorse al “reddito di cittadinanza”.
A Palermo, invece, Nicastri e Arata sono indagati per intestazione fittizia di beni con l’aggravamento mafioso. In questa storia c’è un altro nome pesante, quello del latitante Matteo Messina Denaro, il boss capo della mafia trapanese ricercato dal 1993. Nicastri che dopo l’ultimo arresto fatto dalla Dia ha deciso di collaborare con la giustizia, ha negato collegamenti diretti con Cosa nostra, presentandosi quasi come se fosse una vittima.
Il gup di Palermo, che lo ha processato per un precedente arresto dei carabinieri di Trapani – operazione Pionica – lo ha condannato a 9 anni (i pm ne avevano chiesto 12) per concorso esterno in associazione mafiosa. Insomma per il giudice i contatti ci sono stati, sarà interessante leggere le motivazioni quando saranno depositate.
L’indagine “Pionica” attraverso le dichiarazioni del defunto collaboratore di giustizia, l’imprenditore di Castelvetrano Lorenzo Cimarosa (cugino del capo mafia latitante), ha visto coinvolto Nicastri per una valigia piena di soldi che lui avrebbe fatto arrivare ai fiancheggiatori della latitanza di Messina Denaro, al boss Michele Gucciardi che poi li avrebbe consegnati a Francesco Guttadauro, il nipote prediletto di Messina Denaro, figlio della sorella Rosalia e di quel Filippo Guttadauro appartenente alla famigerata famiglia mafiosa palermitana, quella raccontata nel docu film “La mafia è bianca” – di Stefano Maria Bianchi e Alberto Nerazzini – che anticipò quella che sarebbe stata l’indagine che travolse il Governatore di Sicilia, Cuffaro. L’ultima indagine, quella condotta dagli investigatori della sezione Dia di Trapani, è partita da un investimento per un impianto “mangia rifiuti” che doveva sorgere a Calatafimi.
Ufficialmente le imprese partecipanti e proponenti non comprendevano Nicastri, che però con Arata avrebbe tirato le fila. Le intercettazioni – fatte attraverso un trojan introdotto dalla Dia nel telefonino di Arata – ben presto svelarono la rete di legami, favori e mazzette. Arata difficilmente potrà sostenere di essere diventato socio di Nicastri “a sua insaputa”. Questo perché da oltre un decennio Nicastri è oggetto di indagini. Su di lui non ha indagato solo la Procura di Palermo, ma anche diverse altre procure. Poi ha subito una maxi confisca da oltre 1 miliardo di euro proprio per i suoi contatti con Cosa nostra. Ciò nonostante Arata è stato ascoltato dagli agenti della Dia parlare di Vito Nicastri come “della persona più brava in Italia per quanto riguarda l’eolico”.
Nicastri dopo l’arresto ha deciso di confessare, inguaiando Arata e forse anche Siri, ha chiamato in causa come corrotti funzionari regionali, però non ha fatto nomi di politici o di boss mafiosi. A suo dire la rete delle mazzette costruita nel tempo avrebbe riguardato solo pubblici funzionari.
L’indagine ha messo in evidenza anche l’astio di Nicastri per i giornalisti e in particolare di quelli locali che si stavano occupando dei suoi affari a Calatafimi. L’unico giornale che gli è andato a genio è stato il Financial Times che occupandosi di lui lo aveva indicato come “il signore del vento”.
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