Roma 30 settembre, “Messico in bilico”
Si discute molto del Muro tra Stati Uniti e Messico voluto da Trump contro i migranti, ma non si parla dei “muri” che dovrebbero essere eretti contro i traffici di armi e droga che continuano indisturbati tra nord e sud d’America, peraltro arrivando a coinvolgere sempre di più l’Europa e in particolare l’Italia.
Di questo e di tanto altro – tra testimonianze di violenza e di solidarietà, poesia e spiritualità – si occupa il libro Messico in bilico. Viaggio da vertigine nel Paese dei paradossi, di Fausta Speranza.
“Messico in bilico” ha ricevuto il Premio Giustolisi al Giornalismo di inchiesta 2018 e il 30 settembre 2019 viene presentato al Centro Studi Americani a Roma (via Caetani 32, ore 17,00). Dopo il saluto del Direttore Carlotta Ventura, ad animare il dibattito intervengono Andrea Monda, Direttore de L’Osservatore romano e Paolo Valvo, Professore di Storia Contemporanea all’Università Cattolica di Milano.
Il volume ricostruisce la geopolitica dei traffici offrendo i dati storici ed economici del Paese, riportando le storie vive di persone incontrate, assicurando il supporto e il piacere dello eccezionale spessore letterario e artistico della cultura messicana. Emergono straordinarietà e contraddizioni di un paese che affonda nella storia e abbraccia la modernità.
Il libro rappresenta uno strumento per inquadrare e comprendere notizie come quella pubblicata in questi giorni: le autorità dello Stato di Jalisco (sudovest) hanno scoperto in un pozzo in aperta campagna – nel comune di Zapopan, alle porte di Guadalajara – i resti umani di quelli che potrebbero essere centinaia di cadaveri: il condizionale è d’obbligo perché prima di essere sotterrati i corpi sono stati fatti a pezzi e finora le autorità ne hanno ricomposti solo 44. I media messicani lo hanno già ribattezzato ‘el pozo de los horrores’, ovvero il pozzo degli orrori, ma si tratta a tutti gli effetti di una fossa comune, profonda una ventina di metri. La scoperta è stata fatta il tre settembre scorso, ma gli scavi sono finiti solo 20 giorni dopo.
Con il patrocinio di Amnesty International
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