Delle Chiaie, un uomo per tutte le stagioni delle stragi
Se si vuole cercare un protagonista e testimone della stagione del terrorismo di destra nel secondo dopoguerra, con Stefano Delle Chiaie non si può sbagliare.
Nato nel 1936 a Caserta, figlio di un fascista della prima ora che aveva partecipato alla marcia su Roma, era stato soprannominato “er caccola” per la sua piccola statura e perché fin da giovanissimo aveva iniziato a frequentare i movimenti di destra. Nel 1956 insieme all’ex membro della Repubblica Sociale di Salò Pino Rauti, in contrasto con la linea ufficiale dell’MSI a loro dire troppo moderata, aveva spinto per una scissione a destra, creando il Centro Studi Ordine Nuovo. Il movimento si era fin da subito attestato su posizioni più intransigenti e più radicali, ispirate dal pensiero filosofico di Julius Evola.
Qualche anno dopo Delle Chiaie, in polemica con lo stesso Rauti che non voleva impostare il Centro Studi come un vero movimento politico, ne era uscito con il proprio seguito fondando “Avanguardia Nazionale Giovanile”.
Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, due degli attori principali di quella a cui il giornalista Neal Ascherson sul “The Observer” aveva dato il nome di “Strategia della tensione”. Tutto era nato nel maggio 1965, con il convegno organizzato dall’Istituto Pollio all’Hotel Parco dei Principi di Roma, sulla teorie alla base della guerra rivoluzionaria, un nuovo tipo di conflitto che coinvolgeva civili e militari basato sulle possibili azioni da intraprendere nella lotta contro il comunismo.
A quest’incontro aveva partecipato fra il pubblico anche Delle Chiaie. Il principio teorizzato era stato quello di destabilizzare per stabilizzare. Infiltrare membri della destra nei movimenti extraparlamentari di sinistra e nei gruppi anarchici, provocare scontri e attentati, e portare lo Stato ad una reazione di stampo legalitario.
Fra i primi a mettere in pratica questa teoria in Italia, nel 1966 proprio Delle Chiaie, su commissione del direttore de “Il Borghese” Mario Tedeschi e finanziato direttamente dall’Ufficio Affari Riservati, cioé i Servizi segreti, aveva avviato l’operazione “Manifesti cinesi”. Lo scopo dell’azione era stato quello di far credere che un gruppo inneggiante a Mao Tse Tung fosse radicato e disseminato in tutto il paese.
A questa erano seguiti i tentativi di infiltrazione nei movimenti di sinistra. Prima quello fra i manifestanti negli scontri di Valle Giulia del 1 marzo 1968 a Roma, incominciati sulla scalinata dell’ingresso della facoltà di architettura fra gli studenti e la polizia e a cui avevano partecipato parecchi membri della destra romana come Adriano Tilgher, Guido Paglia, Stefano Delle Chiaie e Mario Merlino, poi quello di quest’ultimo fra gli anarchici del Circolo di Pietro Valpreda.
Avanguardia Nazionale insieme a Ordine Nuovo aveva nel frattempo iniziato a compiere una serie di attentati che dall’aprile di quell’anno aveva colpito tutta la penisola, da quelli nei tribunali di Torino, Milano e Roma, alle bombe lasciate sui treni nella notte fra l’8 e il 9 agosto.
Proprio Delle Chiaie, secondo le testimonianze dell’ordinovista Giovanni Zillio e di Livio Iuculano, aveva partecipato insieme a Merlino agli incontri avvenuti con Franco Freda, della cellula padovana di Ordine Nuovo, per preparare gli attentati romani e milanesi del 12 dicembre 1969. L’ultimo di questi due giorni prima della strage di piazza Fontana.
Secondo le dichiarazioni di Carlo Digilio, quadro di Ordine Nuovo e pentito dell’ultimo processo, membri del gruppo di Avanguardia Nazionale sarebbero infatti stati coinvolti nella collocazione a Roma delle due bombe all’Altare della Patria e di quella alla Banca Nazionale del Lavoro. Il collegamento fra Merlino, Delle Chiaie e gli attentati era stato enunciato già subito dopo la strage da una velina del Sid, i Servizi segreti militari. L’appunto suggeriva anche il loro legame con l’Aginter Press, e con il suo fondatore Guèrin Sèrac, una sorta di internazionale nera che forniva conoscenze e formazione a chi ne avesse bisogno nella lotta contro il comunismo.
L’anno successivo Delle Chiaie fu coinvolto anche nel Golpe Borghese, in cui gli Avanguardisti erano una delle componenti predominanti delle schiere del Principe Nero, il tentativo di colpo di stato che si era concluso all’ultimo momento con il richiamo dei propri uomini nella notte dell’Immacolata del 1970.
Resosi quindi latitante a causa delle indagini per la strage di piazza Fontana, “er caccola” si era rifugiato in vari paesi sotto la protezione di regimi dittatoriali di destra. Prima la Spagna franchista, dove aveva spostato la sua sede l’Aginter Press, poi il Cile di Pinochet, contribuendo all’operazione Condor che prevedeva l’eliminazione dei dissidenti politici, infine la Bolivia di Meza Tejada, dove aveva collaborato con il boia di Lione Klaus Barbie. All’estero aveva messo a disposizione dei regimi dittatoriali e delle polizie segrete le sue enormi conoscenze, continuando comunque a mantenere i contatti con gli avanguardisti e organizzando le attività di Avanguardia Nazionale fino al suo scioglimento nel 1976 per effetto della legge Scelba.
Oltre alle indagini sull’attentato dell’Italicus, Delle Chiaie era stato coinvolto anche in quelle per il tentato omicidio a Roma di Bernard Leighton, ex vice di Salvador Allende, per l’assassinio del giudice Vittorio Occorsio, infine per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, l’ultimo atto della Strategia della tensione.
Braccato, era stato arrestato nel 1987 a Caracas, da dove era stato estradato in Italia. Ascoltato numerose volte dai giudici, sia come teste informato dei fatti che come imputato, verrà sempre assolto in tutti i processi per mancanza di prove.
Colpi di Stato, attentati, omicidi, stragi. Anche dopo le assoluzioni il suo nome ha continuato a saltare fuori in ogni indagine sull’attività eversiva della destra negli anni di piombo.
Nel 2012 ha dato alle stampe il libro “L’aquila e il Condor: storia di un militante politico”, in cui ha raccontato la sua versione dei fatti di quegli anni. Lo stesso Delle Chiaie era solito raccontare a tal proposito un aneddoto: una volta, durante un processo, un giudice l’aveva avvicinato e gli aveva detto: “O lei è un innocente molto sfortunato, o è un colpevole molto fortunato”.
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