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Giovanna Chelli: il coraggio di una madre non muore mai

Lorenzo Baldo * il . Mafie, Memoria

maggiani-chelli-giovanna-sorriso-610E’ morta.

Spesso bastano queste due parole per archiviare frettolosamente una vita.

Che, nel caso di Giovanna Maggiani Chelli, è stata costellata di sofferenza, di lotte, di sacrifici e di sconfitte amare. Ma che ha avuto anche una grande rivalsa nei confronti del capo di Cosa Nostra. Ed è proprio l’essenza di questa donna minuta – dalla forza sovrumana nel pretendere giustizia e verità sui mandanti esterni delle stragi del ‘93 – che da oggi sopravviverà alle miserie umane del nostro tempo.

Era il mese di maggio del 2011 quando la signora Chelli affermava senza mezzi termini: “O il Parlamento dà più garanzie ai cosiddetti pentiti o, in alternativa, parli lo Stato. Facciamola finita di far friggere sulla graticola le vittime delle stragi del 1993. Sono gli uomini dello Stato a conoscenza dei fatti e che si trincerano dietro la ragion di Stato a dover dire la verità sulle stragi del 1993!”. Molti di quei sepolcri imbiancati a cui si rivolgeva Giovanna probabilmente erano tra coloro che sfilavano nelle commemorazioni ufficiali. E lei lo sapeva. Ma non per questo aveva rinunciato a esigere quella verità negata da gran parte del nostro Stato. Sapeva che lo doveva fare.

Per sua figlia Francesca, in primis. Che era rimasta gravemente ferita nella strage di via dei Georgofili dopo aver visto morire bruciato il suo fidanzato Dario Capolicchio, mentre l’intera famiglia Nencioni veniva uccisa dai cumuli di macerie della Torre dei Pulci. Da quel maledetto 27 maggio ‘93 per Francesca Chelli era iniziato un calvario fatto di ospedali e centri specializzati. Sua madre non la lasciava sola un momento.

Negli anni a seguire non aveva perso una udienza del processo sull’eccidio di Firenze, con la sua associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili chiedeva giustizia: chiedeva i nomi degli uomini di Stato che nel biennio ‘92/’93 avevano armato la mano di Cosa Nostra.

Nel frattempo sua figlia si laureava in Architettura all’Università di Firenze con la votazione di 110 e lode. A seguito di quel risultato Giovanna aveva preso carta e penna e aveva scritto una lettera aperta a Totò Riina. “Egregio Signor Riina, il suo tritolo, il vostro tritolo, e di quanti con Voi lo hanno fortemente voluto per salvarsi dalla galera, ha spezzato mia figlia, ma non l’ha piegata. Pur fra mille difficoltà, con uno Stato spesso disattento, mia figlia ce l’ha fatta a raggiungere quell’obiettivo che si era prefissata. Posso oggi ben dirlo: quella mattina del 27 Maggio 1993, mia figlia doveva affrontare un importante esame di architettura. Il sistema marcio, colluso con ‘Cosa nostra’, colluso con lei , ha cercato di fermarla, ma non ce l’avete fatta. Una rondine non fa primavera, non ci illudiamo, non è una laurea in architettura che restituirà la vita rubata alla mia grandissima figlia. Ma lo sforzo compiuto per ottenere questa laurea in architettura, per non darla vinta a lei e ai suoi arroganti mafiosetti, per non darla vinta a quei politici che hanno fatto e fanno affari con lei comprandosi barche da mille metri e ville faraoniche in mezzo al verde, a quei banchieri che i soldi li hanno messi sul tavolo di trafficanti di armi che hanno le case piene di quadri preziosi, e ancora per non darla vinta a quei capi militari che giocano a chi compra il diamante più grosso alla propria moglie e a quegli uomini di Chiesa che si sono venduti per avere più oro sulle mitre e infine a quegli uomini delle Istituzioni che si sono venduti anche solo per risultare più importanti, ebbene quello sforzo compiuto è riuscito”. “Questa laurea di mia figlia – aveva concluso Giovanna Chelli – è la rivincita su quei 300 chili di tritolo usato sulla pelle di innocenti per nascondere ancora una volta le miserie di chi ha dato alla mafia la possibilità di andare in Parlamento”.

La rivincita di Francesca Chelli è stata il primo passo del riscatto che questo Paese deve ancora pagare a sua madre e a tutti i familiari delle vittime di uno Stato-mafia. La sentenza di primo grado al processo sulla Trattativa – che ha sancito un dato oggettivo: senza quel patto non ci sarebbero state le stragi del ‘93 – ha rappresentato un primo tassello per renderle giustizia.

Giovanna ci ha lasciato, sconfitta da quello che spesso viene definito “un male incurabile”. Ma qui di “incurabile” c’è soprattutto la collusione di pezzi delle nostre istituzioni che hanno trattato e trattano con Cosa Nostra sul sangue di migliaia di vittime innocenti; così come l’ignavia di tanti cittadini che dimenticano in fretta e si rendono complici delle nefandezze di tanti esponenti politici collusi.

Se è vero che per i credenti la verità che è stata negata in questi anni a Giovanna, e a tutti coloro che sono morti prima di avere una giustizia terrena, le verrà ora rivelata; per tutti gli altri c’è ancora una guerra da combattere su questa terra.

Il coraggio indomito di Giovanna Chelli è lo stesso di tante madri che non si arrendono mai davanti alle ingiustizie. Ed è quello che rimarrà assieme alla sua battaglia. Che accomuna tutti coloro che hanno a cuore il futuro di questo Paese.

La sua assenza non può quindi esimerci dal continuare a pretendere la verità. Tutta la verità. Anche per lei.

* Antimafia Duemila

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