Per quanto ci crediamo assolti, siamo per sempre coinvolti…
Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti…..
Cantava così nella “Canzone del maggio” pubblicata all’interno dell’LP “Storia di un impiegato” Fabrizio Dè Andrè, nel lontano 1973.
Parole che, se abbiamo la capacità di non girarci dall’altra parte, toccano ancora oggi la nostra intelligenza e la nostra coscienza, e a distanza di oltre 45 anni tornano prepotentemente attuali, proprio nei giorni in cui il Parlamento ha tradito il senso stesso della nostra Carta Costituzionale.
Infatti la conversione in legge di un decreto che introduce norme che mettono in discussione trattati internazionali e nella concretezza delle azioni, rendono l’accompagnamento di persone salvate in mare all’interno di un porto sicuro equiparato a un illecito o addirittura a un reato, ci allontana da una sfera di valori e di diritti che da sempre, almeno dalla scelta di dar vita ad uno stato democratico, non avevamo mai più messo in discussione.
Tutti ne siamo coinvolti; solo nel passaggio dal voi al noi, cambia la canzone di De Andrè, perché chiunque si senta parte di una comunità, deve sentirsi in prima persona coinvolto in questa scelta di “povertà democratica”.
Insieme, come comunità, abbiamo deciso di avere meno diritti, perchè quando si fanno perdere diritti a una persona per il solo fatto che è un povero, che è uno straniero, che è più debole, di fatto impoveriamo la nostra personale umanità e dignità.
Si perché quello che mettiamo in discussione è il riconoscimento di essere tutti portatori di diritti, non in quanto italiani, ma in quanto persone.
De Andrè nella sua canzone va anche oltre e nell’ultima strofa dice:
E se credente ora che tutto sia come prima
Perché avete votato ancora la sicurezza, la disciplina
Convinti di allontanare la paura di cambiare
Verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte
Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti
Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti
Infatti niente è più come prima, anche se nel nostro quotidiano niente sembra cambiare, cambia la “struttura interiore” di ciascuno di noi, perché proprio questa perdita di diritti di quelli che noi pensiamo “diversi” e pericolosi, ci rende più insicuri e più poveri.
In tema di migranti, cosa ci rende insicuri soprattutto? La loro clandestinità. E come la clandestinità si è creata in questi anni? Prima con la legge Turco – Napolitano nel 1998, poi con la legge Bossi – Fini nel 2002, fino all’introduzione del reato penale di clandestinità nel 2009.
Così nel tempo si sono creati centinaia di migliaia di clandestini, che oggi, grazie anche all’azione di questo governo e al primo decreto sicurezza, sono andati ad aumentare con la chiusura di centri, Sprar e Cas, in un vortice senza uscita.
Queste leggi, fatte dalla destra e dalla sinistra, frutto di una falsa emergenza, e dell’incapacità della politica di governo del fenomeno, ci hanno reso più insicuri, più paurosi, più poveri, più disumani.
“Per quanto ci crediamo assolti, siamo per sempre coinvolti”, se De Andrè fosse vivo, oggi potrebbe cantare così questa sua canzone, per farci assumere fino in fondo un senso di responsabilità personale, l’unico che ci rende veramente cittadini sovrani, così come i greci definivano lo stato democratico.
Si, responsabilità per tutte le volte che abbiamo delegato ai politici queste scelte senza cercare di capire ed approfondire, per la sufficienza e ignoranza con cui le abbiamo accettate e continuiamo ad accettarle, per tutte le volte che abbiamo girato lo sguardo dall’altra parte, per tutte le volte che non ci siamo democraticamente ribellati.
Per aver permesso che dentro di noi tornasse a rispuntare l’intolleranza verso il diverso, senza voler capire la storia e le motivazioni che lo hanno spinto qui, pensando e continuando a pensare che il rifiuto di lui, o l’alzare un muro o chiudere un porto, avrebbe voluto dire la salvezza del nostro tenore di vita.
Per non aver mai chiesto alla politica di smettere di agire in segno di una falsa emergenza, ma di operare per governare un fenomeno che ci accompagnerà ancora per tanti anni e che è oggi il primo vero tema della convivenza tra gli uomini in questo mondo.
Basta leggere le dichiarazioni dell’Onu di oggi sui cambiamenti climatici in corso nel pianeta e che nei prossimi decenni affameranno ancor di più intere popolazioni dell’Asia e dell’Africa, costrette dunque ad emigrare verso aree dove la vita sarà più tollerabile.
Allora riappropriamoci della nostra sovranità non per delegittimare chi, come le Ong, va in mare a salvare vite umane, ma per spingere la politica per esempio a riaprire i flussi per motivi di lavoro (siamo ultimi in Europa, meno dell’Ungheria), a cercare sul serio in Europa una strada condivisa per la gestione di chi arriva, a velocizzare le scelte tra chi deve essere accolto o meno, a impedire che le persone muoiano in mare o vengano torturate in Libia, e a dar vita ad accordi con i paesi da cui queste persone fuggono.
E’ in gioco il nostro essere cittadini liberi, è in gioco la nostra umanità, è in gioco la nostra coscienza, parti di noi che non possiamo delegarle a nessuno e nelle quali siamo in ogni momento sempre coinvolti….
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