La direttiva del Ministro dell’Interno sui campi Rom, Sinti e Caminanti
Il 15 luglio scorso il Ministro dell’Interno ha indirizzato una circolare a tutti i Prefetti sul tema degli “Insediamenti di comunità Rom, Sinti e Caminanti” per una loro generale ricognizione su tutto il territorio nazionale.
Nella nota si richiama “l’esigenza di una specifica attenzione sulle significative situazioni di illegalità e di degrado che frequentemente si registrano negli insediamenti (..) e che spesso configurano un concreto pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica anche nei contesti urbani posti nelle vicinanze”.
Considerazione condivisibile anche da chi, come lo scrivente, ha avuto ruoli di autorità locale di pubblica sicurezza rilevando, negli anni passati, situazioni molto precarie di tali campi in alcune città.
Se si legge con la dovuta attenzione la direttiva non mi pare si rilevino “tentativi di ghettizzazione” né, tantomeno, “censimenti su base etnica” come qualcuno ha dichiarato in queste ore (vedi l’Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Milano, su il Corriere della Sera del 18 luglio).
Il Ministro dell’Interno, traendo spunto dal recente incendio all’interno del campo di Lamezia Terme e sulla scorta di “buone prassi” attivate in alcuni Comuni finalizzate alle “bonifiche ambientali e alla riqualificazione dei luoghi”, ha chiesto ai Prefetti di assumere “le opportune iniziative ed interlocuzioni” in ambito locale per acquisire utili elementi di conoscenza su alcuni punti che vengono chiaramente indicati.
Vediamoli nel dettaglio sottolineando pure che tale “ricognizione” deve avvenire “nel rispetto delle normative nazionali e internazionali” (un riferimento generico ma molto ampio) e avendo riguardo “alla presenza di fragilità negli insediamenti, con particolare riguardo ai nuclei familiari con minori o altre persone in condizioni di vulnerabilità”.
Si va, dunque, dalla “tipologia degli insediamenti (autorizzati, abusivi) e densità abitativa” alle condizioni in cui si trova l’insediamento (“presenza di reti idriche, elettriche e fognarie, allacci abusivi”), alla esistenza di manufatti fissi e strutture mobili, a pregressi episodi pregiudizievoli per l’incolumità pubblica, alle condizioni dei minori (situazioni di abbandono scolastico) anche pregiudizievoli in ragione dell’età.
Tutto in un contesto che viene richiamato di attività di prevenzione prioritaria “volta a contrastare l’insorgenza di tali situazioni di degrado” ( e ce ne sono molte sia nella Capitale che in altre città medio grandi), nel “rispetto dei diritti della persona” e senza lasciare spazio a iniziative periferiche che non siano state oggetto di informazione preventiva all’ufficio di Gabinetto del Ministro.
Senza contare che le singole situazioni locali debbono essere portate all’attenzione dei Comitati Provinciali per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica “allargati alla partecipazione dei rappresentanti della Regione, dei Sindaci dei Comuni interessati dalla presenza di tali insediamenti nonché dei rappresentanti della Magistratura e di ogni altro soggetto che possa essere proficuamente coinvolto in tale contesto”.
Certo, poi, c’è la previsione di un progressivo sgombero delle aree abusivamente occupate attraverso opportune pianificazioni e con una “cabina di regia” con rappresentanti di Regioni ed Enti locali interessati ma “attivando nel contempo positive dinamiche di ricollocamento degli interessati” e senza trascurare l’accesso ai servizi di carattere sociale, sanitario, assistenziale e scolastico per chi ne ha diritto.
Ripristinare, dunque, condizioni di legalità nel caso di “eventuali illegittimità riscontrate, caso per caso, anche nelle strutture autorizzate”.
L’obiettivo non è quello di censire etnie o di ghettizzare nessuno.
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