Sono 328 i comuni sciolti per mafia dal 1991 ad oggi
È stato presentato questa mattina a Roma, presso la Sala del Refettorio di Palazzo San Macuto, il Rapporto di Avviso Pubblico “Lo scioglimento dei Comuni per mafia. Analisi e proposte” a cura di Simona Melorio, ricercatrice dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Il volume è edito da Altreconomia.
All’iniziativa sono intervenuti Roberto Montà, sindaco di Grugliasco (To) nonché Presidente di Avviso Pubblico; Isaia Sales, docente presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli; Simona Melorio, ricercatrice dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e Nicola Morra, Presidente della Commissione parlamentare antimafia. Ha moderato l’incontro Paolo Borrometi, giornalista di TV2000.
“La legge sugli scioglimenti per mafia è nata per risanare la frattura tra Amministrazione e cittadini, causata dalle infiltrazioni della criminalità organizzata – ha spiegato Roberto Montà – L’obiettivo del Rapporto è analizzare i cambiamenti che sono avvenuti dal 1991 ad oggi, accendere una discussione pubblica su un adeguamento della normativa che non è più rinviabile, accompagnato dal fornire agli Enti locali una serie di strumenti per prevenire e intervenire a monte”.
“Il tema degli scioglimenti reiterati degli stessi Comuni è legato a doppio filo alla fiducia che i cittadini ripongono nelle Istituzioni: è lo Stato che deve dimostrare di essere più forte dei clan – ha evidenziato Simona Melorio – Come dimostra di essere più forte? Offrendo risposte ai cittadini. Laddove gli scioglimenti si ripetono più volte nel corso degli anni, le Istituzioni non sono state in grado di far sentire la propria presenza, uno spazio inevitabilmente occupato da altri”.
“La legge del 1991 è stata una legge importante, perché aveva due obiettivi: garantire ai cittadini il diritto di votare liberamente, impedire i condizionamenti dell’attività amministrativa – ha dichiarato Isaia Sales – Oggi chi amministra deve sentire più vicine le Istituzioni: non abbiamo bisogno che chi scopre di essere infiltrato venga punito, ma abbiamo bisogno che venga aiutato ad espellere questi soggetti e questi interessi dall’Amministrazione. La legge del 1991 è stata una legge necessaria, ma adesso ha bisogno di ‘fare un tagliando’ ”.
“Se sciogliere un Ente locale vuol dire prendere atto di un deficit di legalità e intervenire, sospendendo temporaneamente la democrazia, gli scioglimenti ripetuti dimostrano che qualcosa nella normativa va modificato. Per questo è mia intenzione proporre di creare una Commissione su questa tematica – ha sottolineato Nicola Morra –. Non vanno taciuti i meriti della legge naturalmente, che non va cancellata ma solo migliorata in alcuni suoi aspetti. Penso, tra le altre cose al tema, della candidabilità di soggetti che facevano parte di Amministrazioni poi sciolte per infiltrazioni mafiose”.
I numeri del rapporto
Lo scioglimento delle amministrazioni locali conseguente a fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso – introdotto nel nostro ordinamento nel 1991, in uno dei momenti più difficili della lotta tra Stato e mafia, ed oggetto di numerose modifiche nel corso degli anni – è ora compiutamente disciplinato dal Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali o Tuel (artt. 143-146 del decreto legislativo n. 267 del 2000).
Dall’anno di entrata in vigore di tale strumento normativo ad oggi, sono stati emanati nel complesso 515 decreti ex art. 143 del Tuel (quasi tutti nei confronti di enti collocati in aree a tradizionale insediamento mafioso; cfr. Grafico 1), dei quali 187 di proroga di precedenti provvedimenti.
Riducendo l’angolo prospettico a livello sub-regionale risulta evidente una netta predominanza delle province di Reggio Calabria (66 scioglimenti) e Napoli (59), con la prima affermatasi di recente, dopo una lunga primazia della seconda; seguono le province di Caserta (36), Palermo (33) e via via tutte le altre (cfr. Grafico 2).
Su 328 decreti di scioglimento, 26 sono stati annullati dai giudici amministrativi. Tenuto conto che 62 amministrazioni sono state colpite da più di un decreto di scioglimento, gli enti locali complessivamente coinvolti nella procedura di verifica per infiltrazioni della criminalità organizzata sono stati fino ad oggi 278; di essi, 249 effettivamente sciolti (compresi un capoluogo di provincia e cinque aziende sanitarie).
Vanno infatti considerati i 45 procedimenti ispettivi conclusisi con l’archiviazione (si contano 15 amministrazioni interessate sia da archiviazione che da scioglimento; un Comune, quello di Villa San Giovanni, ha subito due archiviazioni).
Sono 40, infine, gli enti attualmente sottoposti a gestione commissariale, tutti distribuiti tra Calabria (22), Sicilia (9), Puglia (5) e Campania (4).
Condizione dello scioglimento è l’esistenza di elementi “concreti, univoci e rilevanti” su collegamenti con la criminalità organizzata di tipo mafioso degli amministratori locali o su “forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali”, incidendo negativamente sulla funzionalità dei servizi a queste affidati, oppure in grado di originare un “grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica” (art. 143, co. 1).
Si tratta di un atto di alta amministrazione, come tale caratterizzato da un’ampia discrezionalità. Per giungere allo scioglimento non è necessario che siano stati commessi reati perseguibili penalmente oppure che possano essere disposte misure di prevenzione, essendo sufficiente che emerga una possibile soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata, anche a prescindere dalla volontà dei primi di assecondare le richieste della seconda.
Sono 62 le amministrazioni locali colpite da più di un decreto di scioglimento per infiltrazione e condizionamento della criminalità organizzata. Di queste, 45 hanno subito due scioglimenti, mentre 17 ne hanno subiti ben tre.
Si tratta dei Comuni di: Arzano (sciolto nel 2008, 2015 e 2019); Briatico (2003, 2012, 2018); Casal di Principe (1991, 1996, 2012); Casapesenna (1991, 1996, 2012); Gioia Tauro (1993, 2008, 2017); Grazzanise (1992, 1998, 2013); Lamezia Terme (1991, 2002, 2017, quest’ultimo poi annullato); Marano di Napoli (1991, 2004, poi annullato, 2016); Melito di Porto Salvo (1991, 1996, 2013); Misilmeri (1992, 2003, 2012); Nicotera (2005, 2010, 2016); Platì (2006, 2012, 2018); Roccaforte del Greco (1996, 2003, 2011); San Cipriano d’Aversa (1992, 2008, poi annullato, 2012); San Ferdinando (1992, 2009, 2014); San Gennaro Vesuviano (2001, 2006, poi annullato, 2018); Taurianova (1991, 2009, 2013).
Prendendo in considerazione la dimensione demografica dei Comuni interessati da provvedimento dissolutorio, rileva segnalare come, da un punto di vista meramente quantitativo, gli scioglimenti abbiano finora colpito in maniera pressoché equivalente enti di dimensione medio-piccola (0-9.999 abitanti, 125) e medio-grande (10.000-oltre 50.000 abitanti, 119) (cfr. Grafico 3).
Se però si rapporta tale dato col numero di Comuni piccoli, medi e grandi presenti in Italia, emerge chiaramente che ad essere sciolti proporzionalmente di più sono gli enti medio-grandi, con oltre il 13 per cento di quelli aventi popolazione superiore a 20mila abitanti sciolti almeno una volta (cfr. Grafico 4).
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