E’ questo il “nuovo” modello di sicurezza?
Continua la confusione nella gestione del sistema della sicurezza pubblica che, su tutto il territorio nazionale, dovrebbe avere come riferimento unico le autorità di pubblica sicurezza (provinciali e locali, prefetti e questori) alle cui dipendenze funzionali operano gli ufficiali e agenti di ps delle singole forze di polizia e di quelle locali.
Continuano, invece, a registrarsi, qua e là, iniziative locali in tema di “controlli di vicinato” e di “ronde” da parte di associazioni varie con tanto di “corsi di formazione” e consegne di “tesserini” agli “abilitati” da parte di sindaci (per ultimo a Grosseto, il 22 giugno).
Tutto questo riconducibile anche a quelle “nuove linee di intervento e strategie operative” di cui è cenno nella direttiva inviata il 20 novembre 2018 dal Ministro dell’Interno ai Prefetti per “il rafforzamento dell’attività di prevenzione e contrasto allo spaccio di stupefacenti”, sollecitando,“come valore aggiunto alla prevenzione”, l’“attività di osservazione assicurata dai cittadini” da coinvolgere nelle relative segnalazioni nel contesto di “più strutturate forme di collaborazione” regolamentate con “accordi di vicinato”.
Attività di osservazione, di annotazione, di vigilanza e di controllo che rappresentano, come vado ripetendo da tempo, alcuni momenti di quella generale attività di prevenzione che spetta esclusivamente alle autorità di pubblica sicurezza e alle forze di polizia.
Il nostro Paese non può trasformarsi in una sorta di “caserma nazionale” con i cittadini che vanno in giro per le strade a sbirciare, a controllare movimenti di persone e veicoli “sospetti”, ad annotare targhe ed altro, riferendo “superiormente” ai cosiddetti “referenti” di quartiere, individuati negli accordi di vicinato, per le ulteriori valutazioni e segnalazioni alle forze dell’ordine.
Non può, non deve essere questo il “sistema di sicurezza” in un Paese civile e democratico.
Né può essere quello di uno “snaturamento” delle importanti funzioni di polizia amministrativa svolte dalle polizie locali che si sta cercando di coinvolgere sempre di più nella tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza. Creando, così, comprensibili situazioni di disagio per gli stessi appartenenti a tali Corpi e Servizi di polizia municipale (per ultimo quella di Bolzano, in sciopero il 21 giugno, perché alle aumentate responsabilità richieste non è corrisposto lo stesso trattamento normativo riservato a Polizia di Stato e Carabinieri).
Sono ben note le iniziative assunte da Sindaci di alcune città grandi ma anche medio-grandi in tema di sicurezza e avallate, successivamente, per alcuni punti, con provvedimenti normativi, per esempio con il decreto Minniti del febbraio 2017.
Per il resto non si può che restare sgomenti innanzi alla istituzione di uffici e articolazioni interne nei singoli Corpi delle Polizie Municipali destinati, tra l’altro, alla repressione dello spaccio di stupefacenti, dello sfruttamento della prostituzione, del falso documentale, dei reati in danno di minori. Ambiti per i quali si richiedono spiccate professionalità ed esperienze e normalmente svolte dalle forze di polizia statali.
Se, poi, si vuole ritoccare il modello di sicurezza si potrebbe iniziare dalle scuole di formazione della Polizia di Stato e dei Carabinieri riservando aliquote di personale da arruolare (anche a livello regionale) per lo svolgimento delle funzioni di polizia locale (almeno per le Città metropolitane e per quelle medio-grandi).
Avremmo, così, una base di partenza comune in tema di formazione addestramento professionale, un idem sentire tra forze di polizia e polizie locali che non sarebbe male per un sistema di sicurezza che deve restare unitario in tutto il Paese.
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