Segen
Se avessi visto solo il volto di Tesfalidet Tesfom detto Segen, senza il contesto, avrei detto: è un’immagine di repertorio di un sopravvissuto a un campo di sterminio nazista.
Invece Segen era un cittadino eritreo e quella foto è stata scattata al momento del suo approdo a Pozzallo il 12 marzo 2018 a bordo della Proactiva (Open Arms).
Pesava 36 chili, era denutrito e non si reggeva in piedi. Un polmone era perforato dalla tubercolosi, avrebbero poi accertato in ospedale. Morirà il giorno dopo e i medici dell’ospedale di Modica, dov’era stato ricoverato, avrebbero trovato due poesie scritte meticolosamente a mano nel portafogli.
L’amico che era riuscito ad andare a fargli visita riferisce: “Mi ha detto con un filo di voce che erano tutti ammassati in una stanza nel campo di detenzione a Bani-Walid, urinavano e facevano i bisogni nella stessa stanza, le donne subivano violenze sessuali, gli uomini venivano picchiati, nessuno poteva lavarsi e gli davano da mangiare una, due volte al giorno”.
Anche ai medici continuava a ripetere: “Libia, Libia”.
Nel cimitero di Modica c’è ora una piccola tomba con una croce di pietra grezza e il suo nome scritto in modo incerto con una matita.
In questa Giornata mondiale del rifugiato, è attraverso gli occhi di Segen che vogliamo ricordare quell’umanità calpestata e senza attracchi.
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