Quando i migranti siamo noi
Spesso per far comprendere la realtà delle migrazioni con i suoi disagi, le sue miserie e le sue speranze, ritorniamo con la memoria storica a quando gli emigrati eravamo noi.
Dopo la ricerca di Maurizio Ambrosini, sociologo della Statale di Milano e del Cnel, dobbiamo correggere qualcosa perché noi non “eravamo” gli emigranti, lo “siamo”.
Le iscrizioni al Registro dei residenti all’estero (Aire) nel 2017 contava 243mila nostri connazionali e sicuramente si tratta di un numero sottostimato. In ogni caso è il sintomo di una netta crescita migratoria degli italiani che provengono – udite udite! – soprattutto dal nord Italia. 33.658 dalla Lombardia, 23.657 dal Veneto e 22.086 dalla Sicilia. In quanto a provincie, la prima è Genova (15.375), poi Roma (11.6639) e Milano (10.162).
E la ricerca ci dice che bisogna smentire anche il luogo comune per cui si tratta di “cervelli in fuga”. Oltre il 50% dei nuovi emigrati italiani è disoccupato di bassa scolarizzazione che cerca fortuna all’estero o che spesso, pur con buoni titoli di studio “trova lavori inferiori al proprio livello di istruzione e alle proprie competenze”.
Semmai la vera differenza è che rispetto agli anni 50 e 60, oggi c’è una migliore accoglienza degli italiani all’estero con meno pregiudizi e discriminazioni.
Cosa che non facciamo noi quando i migranti sono gli altri.
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