Un anno senza Luciana Alpi
Un anno; è già passato un anno dal 12 giugno 2018, quando Luciana Alpi se ne è andata in silenzio.
In quest’ultimo anno, è mancata a tanti di noi la sua tenacia di ferro, quella forza d’animo che l’aveva sorretta nell’ingaggiare una lunga ed estenuante battaglia civile per sapere cosa fosse successo in Somalia quel 20 marzo del 1994.
Sebbene l’agguato di Mogadiscio avesse assunto fin da subito i tragici contorni di una brutale esecuzione, presto fu archiviato velocemente come un file di cronaca nera, finendo poi, con il passare del tempo, per diventare uno dei tanti segreti d’Italia, ancora oggi inconfessabili.
È passato solo un anno da quando Luciana non c’è più e ancora siamo qui a chiederci come sia possibile pensare di avere verità e giustizia sull’omicidio di sua figlia, Ilaria Alpi, la brillante inviata del TG3 e di Miran Hrovatin, l’operatore fidato di tante missioni nel cuore dell’Africa.
Se non c’è riuscita lei, “madre coraggio” di straordinaria lucidità e di indomita passione, come potremo mai, noi, ottenere uno straccio di verità in un Paese che non sembra interessato a queste vicende, occupato com’è da una quotidianità feroce, tanto da divorare e digerire ogni giorno tutto e tutti, alla velocità della luce?
A chi interessa ancora conoscere i fatti per quello che sono veramente stati e non invece per quello che alcuni hanno cercato di spiegare, maldestramente, in oltre vent’anni dalla morte della giornalista del Tg3? C’è ancora qualcuno che crede in questa ricerca come impegno giusto e necessario in una democrazia degna di chiamarsi così?
Sebbene lo sconforto a volte prevalga, siamo certi che un’agguerrita e robusta minoranza voglia continuare a cercare, senza arrendersi: se non saremo tanti, non siamo nemmeno pochi a chiedere che vengano illuminate le pieghe oscure di un affaire internazionale che si è sviluppato in un intreccio perverso di istituzioni nazionali e straniere, servizi segreti nostrani ed esteri, affari lucrosi e crimini efferati.
In questa difficile ricerca, siamo guidati ancora oggi dall’insegnamento di una donna che non aveva smesso mai, nemmeno quando lo aveva detto pubblicamente, perché prostrata dagli insuccessi e dalla malattia, di proseguire la sua lunga ricerca.
Quante mani ha stretto Luciana in tutti quegli anni. Forse, anzi quasi certamente, avrà stretto anche le mani di chi sapeva qualcosa e ha taciuto, magari promettendole di fare la propria parte per l’accertamento della verità. Chissà cosa avrà pensato Luciana di quanti sapeva già allora che le avevano mentito e non avrebbero mai mantenuto fede alla parola spesa.
Quanti sguardi ha incrociato Luciana lungo il suo percorso, alla ricerca di un’esitazione o di un turbamento, di un cenno d’assenso o di comprensione, nella speranza mai sopita che un rigurgito di coscienza svegliasse l’interlocutore nell’incontro con il dolore di una madre disperata.
Quante parole ha sentito Luciana nel periodo in cui, con il marito Giorgio prima, da sola poi, ha creduto che dalle aule dei Tribunali e del Parlamento potesse giungere una sola parola: verità. L’unica parola che invece in tutti questi lunghi anni non ha mai sentito.
Purtroppo una cosa l’abbiamo capita in questi decenni di impunità e di silenzio, non solo sul caso Alpi e ma anche sulle tanti stragi che hanno insanguinato il nostro Paese: la verità processuale non potrà mai essere la verità storica e, quando anche per una qualche singolare convergenza ciò dovesse accadere, sarebbe l’eccezione che conferma la regola.
Basti vedere in questi ultimi giorni le notizie che riguardano il CSM, per comprendere come spesso l’esercizio della giustizia sia finito per diventare merce di scambio e terreno di scontro politico. Immaginiamo tutto questo cosa possa significare e potenzialmente incidere nell’accertamento della verità, quando si tenta di illuminare i segreti e i misteri di Stato. E questo al netto dell’impossibilità, spesso ricorrente, di ricostruire gli accadimenti per quello che sono stati in un aula di un qualsiasi palazzo di giustizia, non necessariamente noto come “porto delle nebbie”, come per tanti anni Roma invece è stato.
Eppure nonostante tutto, oggi 12 giugno, ad un anno dalla scomparsa di Luciana Alpi, siamo qui a ribadire che, qualunque possa essere l’esito delle vicende processuali che riguardano il duplice omicidio di Mogadiscio, saremo in tanti a non archiviare e a continuare a chiedere verità e giustizia per Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
Grazie Luciana, andiamo avanti.
Ciao, Luciana… Ci hai insegnato il coraggio
A venticinque anni dall’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin: #NoiNonArchiviamo
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