Io ringrazio il “traditore”
Non ho ancora visto il film su Tommaso Buscetta di Marco Bellocchio e mi sarà impossibile vederlo per alcuni giorni.
Sarà di certo in linea con la storia del regista e con la sua produzione artistica, a volte discussa ma sempre capace di far riflettere su temi scabrosi con narrazioni di alto livello.
Le mie dunque saranno considerazioni, come dire, esterne al film.
Innanzitutto la data di presentazione in Italia: il 23 maggio, anniversario della strage di Capaci.
Una scelta giustificata dal fatto che “l’accoppiata Falcone-Buscetta” condusse efficacemente per anni una battaglia comune. Che avrebbe potuto segnare il definitivo affossamento di “Cosa nostra” se l’opera di Falcone non fosse stata brutalmente interrotta, prima ancora che si scatenasse la violenza stragista dei mafiosi, dalle calunnie che gli furono scagliate addosso sul finire degli anni ‘80.
Poi il titolo: “Il traditore”. Che mi ricorda l’analogo titolo della biografia di Patrizio Peci: “L’Infame”.
Traditore il mafioso che per primo rivelò i segreti della più terribile organizzazione mafiosa mai esistita, Cosa nostra (della quale prima si ignorava finanche il nome). Infame il primo pentito delle Brigate rosse, che innescò l’inizio delle fine di questa e delle altre organizzazioni terroristiche che avevano disseminato di morti e “gambizzati” l’Italia, fino al sequestro Moro.
Sono titoli di forte impatto, ma attenzione a non subire inconsapevolmente un qualche retaggio della tradizionale educazione cattolica (che io ho vissuto da vicino), secondo cui “chi fa la spia non è figlio di Maria….”.
Perché c’è spia e spia e chi collabora al contrasto della mafia o del terrorismo è una spia assolutamente benemerita. Nel senso che per avere prospettive di successo contro il crimine organizzato (mafioso o terroristico) bisogna conoscerne i segreti. Altrimenti si gira intorno, si scalfisce qualcosa in superficie, ma i colpi non affondano. Il Traditore e l’Infame hanno appunto rivelato i segreti indispensabili per disarticolare dall’interno mafia e terrorismo.
Del resto, il miglior riconoscimento all’importanza decisiva del pentitismo viene proprio da un scritto di Giovanni Falcone: “Una delle cause principali, se non la principale, dello strapotere della mafia risiede negli inquietanti suoi rapporti col mondo della politica e con centri di potere extra-istituzionale”.
Falcone sospettava persino che dietro la “perdurante inerzia nell’affrontare i problemi del pentitismo” si nascondesse la voglia di non “far luce sui troppo inquietanti misteri di matrice politico-mafiosa per evitare di rimanervi coinvolti”.
Buscetta aveva intuito che la mafia sarebbe esistita sino a quando non si fosse affrontato radicalmente, e con lo scopo di reciderlo, il nesso con la politica.
Ma a Falcone Buscetta non aveva voluto rivelare quei fatti sconvolgenti in tema di rapporti fra mafia e politica, incentrati sulla figura di Giulio Andreotti, che pure conosceva. E di cui aveva già parlato, fin dalla primavera 1985, a Richard Martin, il Pm americano che si occupava di Pizza connection. Perché – aveva detto a Falcone – se io parlassi di certi segreti, prenderebbero lei e me per pazzi, e la sua inchiesta fallirebbe. Soltanto la morte di Falcone diede a Buscetta la forza ed il coraggio per rivelare anche all’autorità giudiziaria italiana quei fatti.
In ogni caso, le rivelazioni di Buscetta sono state l’architrave del “maxi-processo”, il capolavoro investigativo – giudiziario realizzato dal pool di Falcone e degli altri giudici istruttori, coordinati prima da Chinnici e poi da Caponnetto. La fine del mito secolare dell’impunità di Cosa nostra. La dimostrazione in concreto, nel rispetto di tutte le regole, che la mafia – come insegnava Falcone – è una vicenda umana, e come ogni vicenda umana ha un inizio, uno sviluppo e può anche avere una fine. Purché la si voglia e ci si organizzi per arrivarci.
Il traditore Buscetta e Falcone l’hanno voluto. Ciascuno col suo ruolo, ma insieme.
Trackback dal tuo sito.