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Da Milano a Cosenza, piccole tangentopoli crescono

Alberto Vannucci * il . Economia, Mafie

Un giorno di ordinaria corruzione italiana: quasi un centinaio di indagati nel milanese, tra i quali ben 43 ordinanze cautelari, altri venti politici indagati in Calabria per appalti cosentini.

Numeri da grandi retate antimafia, e del resto un retrogusto più o meno deciso di ‘ndrangheta si avverte in entrambe le vicende. Nell’universo rovesciato della corruzione però l’inchiesta viene condotta dalla direzione distrettuale antimafia a Milano, e non a Catanzaro.

In Lombardia l’operazione nasce infatti dalla confluenza tra due inchieste: nella prima i magistrati hanno setacciato aderenze e contiguità tra operatori economici locali ed emissari imprenditoriali delle cosche calabresi; nella seconda la loro attenzione si è rivolta a nomine e appalti inquinati in alcune municipalizzate lombarde. A un certo momento gli inquirenti hanno però realizzato che proprio quegli appalti erano terreno d’incontro per impresari tanto prodighi nello sdebitarsi con politici e funzionari quanto aperti di vedute verso la collaborazione imprenditoriale con partner commerciali dal retaggio mafioso.

Per parafrasare il giudice Giovanni Falcone, seguendo i soldi sempre più spesso si trovano tanto mafia che corruzione. Due fenomeni criminali che in Italia, in Lombardia come in Calabria, traggono linfa vitale dalle medesime radici che penetrano la sfera politica, il mercato, il mondo delle professioni.

Questa nuova, ennesima tangentopoli milanese in versione bonsai riproduce alcuni profili della sua versione primigenia, la gloriosa “mani pulite” di quasi trent’anni or sono. A prima vista si ritrovano gli stessi attori protagonisti: politici, imprenditori, professionisti, funzionari, faccendieri, tutti insieme appassionatamente in un turbinio di tangenti, appalti, speculazioni immobiliari, favori, nomine, elezioni pilotate. A cementarli è il medesimo coagulo di interessi opachi che trasforma in strumento di arricchimento illecito qualsiasi processo decisionale e ruolo pubblico, specie nei settori di intervento più facilmente monetizzabili, come l’attività contrattuale e il governo del territorio.

E’ tutt’oggi una corruzione “sistemica”, come si è soliti chiamarla, regolata da modelli persistenti e stabilizzati di comportamento cui i partecipanti al gioco sono ben lieti di aderire. Ne scaturisce un “sistema consolidato” – osservano i magistrati – ossia un equilibrio in virtù del quale “i reati potevano ripetersi all’infinito”. Le condotte arroganti di corrotti e corruttori si alimentano ad oggi dello stesso potente e auto-assolutorio “senso di impunità”.

Permangono attualmente come allora ferrei accordi di cartello, grazie ai quali gli impresari riescono a dettare legge nell’aggiudicazione degli appalti, suddividendosi le gare in un circuito di reciprocità differite. Le nomine nelle società pubbliche sono ancora il terreno esclusivo per accordi sottobanco e la camera di compensazione per carriere pseudo-manageriali governate non da competenze, bensì dalla logica feudale della protezione in cambio dell’obbedienza. Addirittura, protagonisti di quelle lontane cronache di tangentopoli riemergono dall’oblio e li scopre tuttora dietro le quinte, capaci di influenzare la distribuzione di ruoli e incarichi nelle società partecipate: a volte ritornano.

Eppure, quasi riflessa in uno specchio deformante, la natura degli attori e delle risorse in campo hanno subito una drammatica metamorfosi. Le nette gerarchie dei vecchi partiti hanno lasciato spazio a un paesaggio nebuloso nel quale ciascun rappresentante politico e istituzionale gioca una partita in proprio. Quello che acquisisce valore è infatti la capacità di mettere a disposizione “reti relazionali” utili ad allargare il raggio degli affari sotterranei “in molti ambiti e a vari livelli istituzionali”, incrociando scambi di favori con una platea quanto più estesa possibile di aspiranti partner. Dimostrando indubbie abilità camaleontiche, un politico rampante pare a un certo punto indossare le vesti del faccendiere o “facilitatore”, nel momento in cui “in virtù dei suoi rapporti politici sa chi deve essere finanziato, chi è corruttibile” e può suggerire al sodale imprenditore operazioni di “triangolazione” per erogazioni a forze politiche diverse.

Più che il potere di prendere decisioni, è la disponibilità di contatti, connessioni, informazioni riservate ed entrature nei vari enti a trasformarsi in merce pregiata, relegando l’esponente politico al ruolo di dipendente-ombra dell’imprenditore, alle cui direttive pare rispondere contentandosi – tra gli altri benefit – di “prelevare come un toro” da una carta di credito concessagli.

Nei nuovi assestamenti della corruzione sistemica il baricentro si è dunque spostato decisamente sul versante privato. Sono soggetti imprenditoriali ad aprire e chiudere i rubinetti dei finanziamenti delle campagne elettorali, trasformandosi in arbitri dei successi e dell’ascesa degli interlocutori istituzionali e politici. Sono gli imprenditori a regolare autarchicamente la spartizione delle gare d’appalto, anche in virtù dell’ombra minacciosa di rappresentanti imprenditoriali delle cosche ‘ndranghetiste, a rassicurare che “i patti saranno mantenuti”. Sono professionisti miracolati da piogge di laute consulenze e prestazioni più o meno fittizie di enti pubblici, società partecipate, aziende private a trasformarsi in camere di compensazione dove i favori concessi vengono convertiti in moneta sonante, e questa nuovamente in potere di condizionamento dei processi decisionali, sia alla luce del sole che nell’oscurità dei circuiti corruttivi. Con quei soldi, ad esempio, si potranno acquistare tanto le informazioni sugli elenchi delle ditte da invitare – così da organizzare per tempo l’assegnazione delle gare – che il silenzio di chi è consapevole dell’altrui corruzione, e sarà da quel momento vincolato suo malgrado da un avvolgente potere di ricatto.

Il timore che il decreto sblocca-cantieri si trasformi in una norma sblocca-tangenti si sta dunque rivelando, alla luce delle inchieste che emergono, addirittura ottimistico.

Quelle tangenti, con vecchie o nuove regole, non hanno mai smesso di circolare abbondantemente in alcuni contesti inquinati di vita politico-amministrativa. Con l’approvazione di quelle disposizioni criminogene c’è però da temere che questo si realizzi con maggiore fluidità, per giunta aprendo spazi ulteriori alla sotterranea colonizzazione del sistema degli appalti ad opera di imprese mafiose.

* Professore di Scienza politica presso l’Università di Pisa, Ufficio di Presidenza Libera e autore di Atlante della corruzione

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