Perchè non possiamo permetterci di perdere Radio Radicale e i piccoli giornali
In queste settimane si parla molto di Radio Radicale e del rischio che l’emittente possa chiudere per il mancato rinnovo della convenzione che da oltre 25 anni regola il suo rapporto con il governo italiano.
Per capire quello che sta accadendo è importante fare riferimento alla storia di questa radio, che non nasce solo come strumento di comunicazione di un organo di partito, ma anche e soprattutto come radio che intende informare della vita istituzionale e politica del nostro paese, con la caratteristica di essere uno strumento di informazionale imparziale, correto che offre spazio a tutte le voci.
Tutti noi l’abbiamo ascoltata, a partire dalla sua magnifica rassegna stampa mattutina, proprio per il grande rispetto di queste sue prerogative.
Radio Radicale ci ha dato subito l’impressione di essere una radio libera, con l’intento di aiutare le persone a informarsi e poi scegliere sulla base delle diverse idee che al suo interno si ascoltavano.
Fin da subito nacquero le dirette dal Parlamento, dai congressi dei partiti e dai tribunali, elementi che avrebbero costituito il segno distintivo dell’emittente, rendendola di fatto una struttura privata efficacemente impegnata nello svolgimento di un servizio pubblico.
Per il Sottosegretario Crimi, che ha la delega all’Editoria a Palazzo Chigi, esiste oggi Rai Parlamento, un servizio pubblico, un canale istituzionale che trasmette le sedute parlamentari e delle commissioni e dunque diventa quasi superfluo mantenere una convenzione con Radio Radicale.
Non siamo d’accordo.
Proprio lo scorso 3 maggio si è celebrata la 26esima edizione della Giornata Mondiale della libertà di stampa istituita dalle Nazioni Unite nel 1993, e il tema di quest’anno si concentra sul rapporto tra media e democrazia.
Un tema quanto mai pertinente su come la possibilità di garantire una pluralità diversa di voci e di pensieri, sia alla base di ogni forma democratica.
Dunque rischiare di perdere una voce indipendente e libera come Radio Radicale, per il mancato rinnovo di una convenzione che aiuta quest’emittente a sopravvivere e a svolgere il suo ruolo di informazione istituzionale, sembra veramente un passo indietro che non possiamo permetterci.
Così come non possiamo permetterci di vedere la chiusura di altre voci come per esempio l’Avvenire, Il Foglio e Il Manifesto (tanto per fare tre esempi di diverse forme di pensiero), e di altre testate più piccole e locali che operano oggi in forma cooperativistica, per il taglio di finanziamenti pubblici che sono iniziati già sotto il governo Renzi e che oggi stanno portando avanti principalmente i 5 Stelle.
Come dice giustamente il Presidente Nazionale della Fnsi Giuseppe Giulietti “quando si chiude un piccolo giornale si oscura una comunità”, e la democrazia deve essere in grado, anche attraverso il contributo dei soldi dei cittadini, di mantenere in vita le voci che si levano da ciascuna comunità di pensiero.
Diceva Ignazio Silone che “La libertà è la possibilità di dubitare, la possibilità di sbagliare, la possibilità di cercare, di esperimentare, di dire no a una qualsiasi autorità, letteraria artistica filosofica religiosa sociale, e anche politica”.
Radio Radicale e i giornali che rischiano la chiusura, con le loro trasmissioni, inchieste, articoli, ci hanno aiutato a dubitare, a cercare, a dire no a chi cercava di imporsi anche con la forza (penso agli anni di piombo).
La politica, se vuole far crescere i cittadini e far crescere lo stato democratico, deve essere in grado di salvaguardare anche queste ricchezze del pensiero.
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