Salvini scopre l’antimafia il 25 aprile
Una normale dialettica fra alleati, pur con orizzonti politico-culturali diversi, sembra per il nostro Paese un lusso. Dai sotterfugi (kafkiane “approvazioni salvo intesa” o magiche “clausole di dissolvenza”) si è passati alla rissa furiosa, come dimostrano le cronache sul “Salva Roma” e sul “caso Siri/Arata”.
Senza pretesa di affrontare il merito specifico di quest’ultimo caso (se non altro perché l’inchiesta è appena iniziata), è evidente che esso ripropone – sul piano generale e astratto – l’eterno problema dei rapporti fra mafia, politica, economia.
Eterno perché esiste da sempre, da quando la mafia ci appesta. Nel senso che la mafia non è solo attività gangsteristico- predatoria. Non è solo droga, rifiuti tossici, gioco d’ azzardo, contraffazioni, appalti truccati e quant’altro concorre ad un vero e proprio saccheggio globale. Strutturalmente è anche “relazioni esterne” con pezzi – appunto – della politica e dell’ economia. La “zona grigia” che garantisce alla mafia complicità e coperture, mediante favori scambiati e reciproco sostegno. La spina dorsale del potere mafioso. Perciò una realtà oscena, anche nel senso che va tenuta “fuori scena”, rigorosamente nascosta ma innegabile.
Il “fuori scena” è favorito dalla scaltrezza (viltà?) di quanti si riempiono la bocca con la pericolosità delle relazioni esterne finché si rimane sul piano teorico. Per poi trincerarsi dietro timidezze d’ogni tipo quando si passa al piano concreto dell’effettiva individuazione di tali rapporti. Le scaltrezze dei casi singoli sfociano poi nel tentativo di negare in generale l’esistenza stessa di rapporti mafia-politica-economia.
Una rilettura surreale il cui leit-motiv è una sorta di “riduzionismo/negazionismo” di tali rapporti, che sarebbero in pratica inventati da indagini “creative”, quindi inquinate e inattendibili. In ogni caso si tratterebbe di isolate vicende locali, prive di respiro idoneo a farne una componente della storia nazionale.
Per contro, la tesi riduzionista/negazionista è totalmente smentita dall’imponente materiale probatorio emerso dai processi (Andreotti e Dell’Utri per tutti) e dalle indagini storico-fattuali dei ricercatori più qualificati.
Dunque, la mafia è questione nazionale: avvelena il sistema e corrode la democrazia. Ciò significa che per contrastarla efficacemente occorrono unità d’ intenti e concordia nell’azione. L’esatto contrario di quel che succede se, di fatto, si strumentalizza l’antimafia in funzione divisiva, organizzando a Corleone una iniziativa per disertare le manifestazioni del 25 aprile.
Dimenticando che fare memoria della Liberazione significa ricordare che essa ci ha “regalato” la Costituzione: un progetto di stato da vivere non come espressione degli interessi di qualcuno ma come garante dei diritti di tutti. Un patrimonio comune minacciato dalla tentazione di tornare ad un vecchio modello, in base al quale lo status e le libertà dei cittadini (compresi gli immigrati onesti) dipendono non dalle regole ma dai rapporti di forza.
Infine una riflessione sulla scelta del ministro Salvini di manifestare a Corleone. In quanto storico simbolo di Cosa nostra va ancora bene. Ma viste le radicali trasformazioni della nuova mafia, ormai 3.0, viene da chiedersi (paradossalmente, ma neanche troppo) se non sarebbe meglio una qualche “piazza” dedicata ad operazioni finanziarie internazionali…
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