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Il nostro papà è stato ammazzato

Teresa, Marino, Francesco, Espedito Cannata il . Associazioni, L'analisi

cannata“Essere nel deserto vuol dire accorgersi di chi, ai lati della strada, è più disperato di noi, più solo di noi; vuol dire vivere la prossimità. Nel deserto, infatti, la prossimità è come più immediata, perché si comprende il bisogno di chi è più solo di noi”.

(Carlo Maria Martini)

Mentre cominciamo a scrivere, vi sembrerà strano, ma troviamo l’immagine di nostro padre in ascolto, il nostro cuore è in tumulto. Ci  rasserena nel vedere che nero su bianco i pensieri di questi anni, forse, iniziano a prendere forma. Poi, come degli atleti che non si allenano da anni, cominciamo a correre all’impazzata. Dimostrando e volendo dimostrare di esistere.

I genitori sono persone speciali e speciale è la relazione con loro. Ci sono sempre stati, sono le prime persone, il primo affetto, che abbiamo mai incontrato. È, quella con loro, la nostra più antica gioia e relazione…

Queste parole che scriviamo sono state nel nostro cuore, nelle nostre menti, ma anche nelle nostre mani, nei nostri occhi, per tutti questi anni. Abbiamo pensato, le abbiamo sentite, le abbiamo sussurrate, a volte le abbiamo persino viste, da quando nella notte del 16 aprile 1972, la nostra vita è cambiata.

“Il nostro papà è stato ammazzato”.

Perdere un genitore in questo modo, vuol dire essere monchi per sempre. Sentirsi franare un pezzo di terra sotto i piedi e poi rendersi conto, in meno di un secondo, che quel pezzetto di suolo sicuro – che a volte pestavamo, altre ci camminavamo in punta di piedi, altre ancora non vedevamo l’ora di allontanarci per poi tornare?…non c’è più.

Non pensare che il tempo aggiusti tutto. Non dire a chi soffre né tantomeno faglielo intendere “Ma sono passati tanti anni”. Il tempo aiuta sì, ma il dolore è personale e ognuno lo vive a modo suo. E perdere chi ti ha generato è un dolore che può non passare mai. Si trasforma, ma non passa.

Abbiamo amato il nostro papà infinitamente, ma vivere la nostra vita senza raccontargli delle nostre viste, del nostro lavoro, dei nostri pensieri, sentirlo che ci chiama “Teresa, Marino, Francesco, Espedito” è qualcosa che non si può spiegare. Non vederlo seduto a capotavola con mamma, con noi figli, fratelli, nipoti, cognati…

Però ci resta quello che ci ha insegnato: a vivere con onestà e consistenza. A fare le cose come lui, che da grande elettricista e lavoratore del marmo, sapeva fare: in modo concreto, utile per gli altri e con l’attenzione per i dettagli, senza che questi divengano dominanti. E con semplicità.

Ci ha trasmesso l’amore per le cose buone, che l’amore è nelle piccole cose e non sempre nelle parole, nel preoccuparsi, rasentando a volte un’ansia esagerata, nell’essere felice di quello che si ha, ma anche di guardare sempre al meglio.

Mentre guardiamo la tua foto e le lacrime ancora una volta invadono i nostri visi, vogliamo ancora una volta scriverti: “Ti vogliamo tantissimo bene e grazie di tutto caro papà”.

Con tanto amore, i tuoi figli.

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