Il limpido e sereno ricordo del padre che ho amato e che ancora mi ama
Mi chiamo Agnese; sono uno dei figli di Aldo Moro.
Grazie per questa opportunità di partecipare e intervenire in un momento così solenne di ricordo di coloro che hanno perso la vita per mano delle mafie.
Vite di persone normali; di persone perbene. Vite strappate all’affetto di chi li amava. Come è stato anche per le vittime del terrorismo e delle stragi.
Come è stato anche per mio padre Aldo. Che è stato in tanti modi al servizio di questo Paese e degli italiani. Ma che per me era mio padre. Quello che mi dava la mano la sera, che mi portava l’acqua la notte, che mi leggeva le storie…
E’ stato rapito un giorno di marzo, dopo l’uccisione delle care persone che vegliavano su di lui: Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Raffaele Iozzino, Francesco Zizzi; e ucciso, poi, un giorno di maggio dopo una lunga e dolorosa prigionia; nell’indifferenza di coloro che avrebbero dovuto aiutarlo.
Con mio fratello abbiamo dedicato gran parte delle nostre vite a difendere la sua memoria, perché non fosse ricordato solo come la vittima di un crimine, come un pezzo di carne sul tavolo dell’obitorio, ma come un uomo vivo con le sue speranze, slanci, affetti, successi, sconfitte, amici e nemici.
Oggi i nostri sforzi sono stati coronati da successo, e 3 anni fa – 38 anni dopo la sua uccisione – per la prima volta gli studi sulla sua vita hanno superato quelli sulla sua morte.
Ora voglio riprendermi mio padre. Ora voglio pensare a lui senza l’odio, senza il rancore che per tanti anni hanno accompagnato e macchiato ogni suo ricordo. Anche il più caro; anche il più mio.
Mi ha aiutato a farlo un percorso di dialogo con alcuni di coloro che praticarono la lotta armata, anche direttamente coinvolti nella vicenda di mio padre. Un dialogo difficile, e spesso doloroso, iniziato e proseguito grazie a Padre Guido Bertagna, affiancato da Claudia Mazzucato e Adolfo Ceretti. E tanti, tanti generosi altri.
Un percorso di ascolto, conoscenza, rimprovero, umanità che non scusa nulla, non dimentica nulla, ma cerca di capire e di farsi capire. In uno sforzo di reciproca comprensione che inaspettatamente libera il ricordo da ogni rancore, restituendomi – tra l’altro – il limpido e sereno ricordo del padre che ho amato e che ancora mi ama.
* Pubblichiamo il testo dell’intervento reso durante la Veglia in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, che si è tenuta a Padova la sera del 20 marzo presso la Basilica di Sant’Antonio.
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