Non si finisce mai d’imparare
Non lo so voi, ma io dall’incontro con le persone ho sempre, inappuntabilmente, qualcosa da imparare.
Se poi si tratta di gente che abita lontano o arriva dall’altra parte dell’oceano o del Mare che diciamo Nostro, si scatena dapprima la curiosità, poi il desiderio della comparazione e infine la scienza che dà luogo all’apprendimento.
Se a incontrarsi poi sono le culture o le civiltà, non c’è spazio a contenere novità, crescita, interesse, conoscenza e scienza.
Pensate a quante parole italiane sono di derivazione araba, e ce ne sono in diverse scienze.
Nella matematica l’algoritmo, l’algebra e l’introduzione dello zero (sifr, da cui deriva il termine “cifra”) tant’è che i numeri vengono ancora detti arabi.
In cucina dal caffè allo zucchero alla trippa, e in astronomia dallo zenit all’azimuth, al nadir. Per non parlare dell’agricoltura: limoni, arance, carciofi, albicocche, zafferano.
In chimica l’alambicco e l’alchimia e non solo. Ma anche il taccuino e l’almanacco, l’elisir e lo scirocco, l’azzurro e il lilla.
Oggetti, sapori e conoscenze trasportate dalle carovane (carwan) e che spesso abbiamo gradito o discusso, seduti su un divano (divan). Sono arrivati fino a noi da paesi arabi e musulmani.
Con un salto pindarico (questa volta la derivazione è greca) potremmo dire che se i nostri avi avessero tenuto chiusi i nostri porti saremmo tutti molto più poveri (ignoranti) in matematica, in botanica, chimica, astronomia e migliaia di altre cose.
Per questo Papa Francesco dice: “L’integrazione, non è mai né assimilazione né incorporazione, è un processo bidirezionale, che si fonda essenzialmente sul mutuo riconoscimento della ricchezza culturale dell’altro: non è appiattimento di una cultura sull’altra, e nemmeno isolamento reciproco, con il rischio di nefaste quanto pericolose ghettizzazioni”.
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